È difficile definire esattamente cosa sia La Bottega di Vittorio: sicuramente un ristorante, ma anche un’antica salumeria che conserva ancora lo spirito e molte tracce del passato. Si tratta di un’osteria moderna con radici bresciane e un profondo e coerente tocco piemontese. Tuttavia, più di ogni altra cosa, è un luogo di scoperta e scambio per gli amanti del buon cibo e del piacere di condividerlo.
L’insegna esterna è essenziale, recita semplicemente “ristorante”, ma chi si avventura fino a Mompiano sa esattamente dove sta andando e perché. Si entra direttamente nell’unica sala ufficiale del locale, la stessa che 65 anni fa ospitava la salumeria aperta da Vittorio, il padre di Claudio e Ruggero, gli attuali gestori.
L’ambiente, seppur di dimensioni ridotte, è carico di fascino e storia: le iconiche affettatrici Berkel, foto d’epoca, bozzetti d’artista, mongolfiere creative e un accogliente camino rendono lo spazio piacevole e sicuramente curato con personalità.
Ci accomodiamo a un tavolo accanto al bancone, che rimane il cuore pulsante del locale, oltre a dividere gli spazi dando un aspetto più intimo. Il piano inox della Berkel è ora rivestito di legno di ciliegio e vetro, mentre tutt’intorno spiccano confezioni di prodotti dal design vintage. Ruggero è lì, impegnato a lavorare i suoi salumi con maestria, visibile da tutti i nove tavoli presenti.
Il ristorante, aperto sia a pranzo che a cena, offre circa 30 coperti, spesso riservati da clienti abituali. È il tipo di locale in cui si torna volentieri, non solo per i suoi piatti classici, ma anche per seguire l’evoluzione delle stagioni, con un menu che cambia sei volte l’anno e si arricchisce di numerose proposte fuori menù in base agli arrivi. I prezzi dei piatti sono correttissimi, oscillando tra i 15 e i 22 euro. La ricerca di nuovi accostamenti è continua, così come quella per materie prime sempre più ricercate.
Claudio e Ruggero hanno saputo ritagliarsi ruoli diversi e complementari. Claudio si muove con eleganza tra la cucina e la sala, accogliendo tutti con un sorriso, mentre Ruggero, cresciuto dietro il bancone della salumeria con il padre, si occupa con precisione della selezione e del servizio dei salumi, ed è anche il creatore dei dessert.
La cucina si basa principalmente su ingredienti del territorio, spesso non scontati, con incursioni internazionali, ma soprattutto piemontesi. L’influenza piemontese, soprattutto langarola, è evidente sia nei prodotti (formaggi, vini e carni) che nel modo di concepire i piatti e la convivialità. La lunga esperienza dei fratelli nelle Langhe si percepisce e conferma il perché quella regione sia una delle principali mete enogastronomiche italiane.
Il nostro pranzo inizia con una selezione di salumi e una giardiniera. La qualità dei salumi è straordinaria: crudi di Sant’Ilario stagionati quattro anni, coppa e capocollo piacentini, un prosciutto cotto che si scioglie in bocca, una nuvola di mortadella saporita e, come sorpresa d’oltreconfine, una bresaola spagnola, la “Cecina” de León. Ogni salume ha la sua storia, proviene da piccoli produttori selezionati con cura e viene poi conservato e servito con altrettanta perizia.
Come secondo antipasto, ci viene servito un cappello del prete bollito, accompagnato da un bagnetto bianco con tocchi di catalogna, coste, mostarda, melograno, giuggiole (siamo proprio in pieno nella loro stagione di maturazione) e qualche goccia di cren (rafano), che dà una spinta senza sovrastare. Un piatto che racconta le tradizioni del Nord Italia, da Ovest a Est.
Proviamo poi una frittura di acquadelle, piccole sardine del lago d’Iseo (arborelle, per la precisione), accompagnate da foglie di lattuga fritta che ricordano alghe, e un’emulsione profumata alla lavanda e al cedro. Un modo eccellente per valorizzare il pesce di lago, una rarità a Brescia città.
Il primo piatto è un vero piacere: gnocchi di patate, sodi ma morbidi e non farinosi, conditi con porro (il protagonista del piatto), zafferano e qualche scaglia di Castelmagno. Il contrasto tra la dolcezza degli gnocchi e la sapidità profumata della crema è meraviglioso.
Per il secondo, assaggiamo la faraona arrosto, laccata con alchermes e accompagnata da nocette americane e prugne. Il fondo di cottura, ricco e saporito, merita un’ultima scarpetta con i rebbi della forchetta. Ci diciamo che torneremo presto per assaggiare questo piatto con il contorno di carciofi, perché l’idea ci fa sognare.
Infine, ci dedichiamo ai dessert: iniziamo con un caco all’albese, servito in purezza con granella di mandorle, nocciole, polvere di cacao e gocce di cioccolato. Un dessert semplice ma capace di esaltare un frutto di stagione spesso sottovalutato. Chiudiamo con un classico della Bottega: lo zabaione di Ruggero, accompagnato da fichi caramellati e una perfetta sfogliatina.
La proposta di vini conta circa 300 etichette, che spaziano dal Piemonte al Trentino fino alla Francia, con un’attenzione particolare ai vini locali.
Durante il pranzo, iniziamo con un brut metodo classico della Franciacorta de Le Marchesine e poi, da Capriano del Colle, Fausto, un Trebbiano/Chardonnay di Lazzari. Claudio ci abbina infine un Madeira alla faraona: un accostamento impeccabile.
Prima di andare via, ci viene proposto di visitare la cantina, situata al piano inferiore, dove si trovano bottiglie pregiate e alcuni prosciutti stagionati. Un tavolo al centro offre un ambiente perfetto per chi desidera un’esperienza enogastronomica ancora più intima.
In conclusione, La Bottega di Vittorio non è solo un ristorante: è un viaggio tra tradizioni, innovazioni e sapori che rimangono impressi nella memoria. Ed è anche una storia di famiglia.
Mariagiulia Mariani
Cronista del Gusto
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