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Avevano costretto un commerciante a svendere la sua gastronomia per rimborsare prestiti a usura con interessi fino al 12%, ricorrendo anche a minacce di morte, incursioni nel locale e ingiurie alla presenza dei clienti. Per questi addebiti nei giorni scorsi il Tribunale ha inflitto tre condanne per estorsione e usura: 4 anni a Giovanni Tarsitano, imprenditore 52enne di Moncalieri, 3 anni e mezzo a Daniele D’Agrippino, ex titolare di una ditta di logistica, e 1 anno e 4 mesi ad Alberto Buscemi, 61enne di Mazara del Vallo.
I primi due sono già noti alle cronache per l’estorsione all’ex deputato leghista Sebastiano Fogliato, titolare di un’impresa agricola a Villanova d’Asti. Per quell’episodio D’Agrippino è stato condannato a 4 anni nel giudizio abbreviato, mentre a luglio il Tribunale di Asti ha inflitto 6 anni e mezzo a Tarsitano all’esito del dibattimento.
Nel filone torinese, il pm Patrizia Gambardella aveva chiesto 6 anni per il presunto capobanda e 2 anni per i complici. Gli imputati dovranno anche versare 50mila euro di danni alla vittima, costituita parte civile e assistita dai legali Nicola Gianaria e Fabiana Francini.
Nel «libro mastro» dei prestiti a usura, scovato dai finanzieri durante una perquisizione, il nome dell’ex parlamentare era solo il più noto, ma non l’unico. C’era anche quello di un commerciante di Borgo Vittoria, gestore di una storica gastronomia di quartiere. Nel 2019 l’uomo, travolto dai debiti di gioco, le ha provate tutte per rimborsare i prestiti e salvare l’attività di famiglia. Dopo vari tentativi (falliti) con le banche, ha raccontato di essere arrivato a Tarsitano tramite Ivan Fogliati, imprenditore di Beinasco che nell’estorsione all’ex deputato aveva avuto un ruolo simile.
«Prima mi ha detto che potevo ottenere un prestito alla Bnl, poi che non si poteva fare. Allora mi ha sponsorizzato Tarsitano in cambio di 2mila euro», ha spiegato in aula. 35mila euro il capitale prestato, 53mila quello che, secondo i patti, sarebbe dovuto ritornare al prestatore. Le somme sarebbero state riscosse in contanti, ma anche simulando dei contratti tra l’impresa di famiglia della vittima (formalmente intestata a sua madre) e quelle amministrate dagli imputati. Il presunto capobanda, poi, avrebbe imposto l’assunzione di una persona a lui gradita nel punto vendita di Borgo Vittoria.
«A gennaio 2020 Tarsitano si è presentato in negozio e mi ha detto che l’unico modo per estinguere il debito era vendergli l’attività. Che i soldi che mi aveva prestato erano della ’ndrangheta e che dovevo ringraziare di essere ancora in grado di camminare». L’atto di vendita sarà formalizzato pochi mesi dopo, ad aprile. Per il pm le vittime si sono trovate in un «indiscusso stato di soggezione», messe davanti a «un’alternativa ineluttabile» da imputati consapevoli della loro forza d’intimidazione. Lo dimostrerebbero le chat, una fra tutte quella tra Tarsitano e Forlani: «Bisogna accompagnarli in questo lungo cammino di pecorelle smarrite, bisogna portarli sulla via del signore».
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