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La potenza dei numeri per comprendere i divari della ricchezza tra nazioni #finsubito prestito immediato – richiedi informazioni –


Il premio Nobel per l’economia 2024 è stato assegnato a Daron Acemoglu e Simon Johnson (Massachusetts Institute of Technology, Boston) e a James A. Robinson (University of Chicago) per i loro “studi su come le istituzioni si formano e influenzano la prosperità”. Si tratta di una formula sintetica, come da tradizione dell’Accademia reale svedese per le scienze, che però suona chiarissima alle orecchie di chi, con i contributi dei vincitori, si è cimentato nel corso degli anni. Le “istituzioni” cui si fa riferimento sono le regole del gioco, stabilite a livello economico ma anche politico, che plasmano tanto l’efficienza dei sistemi economici quanto la qualità della vita politica dei Paesi. La tesi principale dei contributi di questi autori è che il ricorso al libero mercato e alla democrazia porta le nazioni a progredire maggiormente.

Semplificando un po’, si può affermare che grazie a mercati concorrenziali e funzionanti è più facile creare lavoro e ricchezza; inoltre, vivere in uno stato democratico, dove chiunque può godere di diritti economici e politici fondamentali e irrinunciabili, assicura che tale ricchezza verrà poi redistribuita anche a favore dei più deboli, dei poveri e degli esclusi. I vincitori hanno indubbi meriti scientifici, certificati ben prima del premio di ieri da decine di altri riconoscimenti e da una lista innumerevole di pubblicazioni in materia. Il valore speciale di Acemoglu e Robinson è di avere reso il tema abbordabile ai non addetti ai lavori, grazie a testi divulgativi tradotti anche in italiano, come il celebre Perché le nazioni falliscono. Alle origini di potenza, prosperità e povertà, del 2012, e il più recente Potere e progresso. La nostra lotta millenaria per la tecnologia e la prosperità (2023).

Da parte sua, Johnson ha avuto la possibilità di unire la teoria alla pratica, ricoprendo nella sua carriera non solo posizioni accademiche ma anche quella di “economista capo” al Fondo monetario internazionale. Inoltre, i lavori dei tre economisti permettono di risolvere un paradosso delle teorie economiche della crescita e dello sviluppo molto in voga fino al secolo scorso. In particolare, le cosiddette “teorie della convergenza” avevano previsto che, in un numero sufficiente di anni, tutti i Paesi avrebbero dovuto raggiungere tassi di sviluppo economico elevati e simili a quelli già realizzati in precedenza da altre nazioni, come quelle europee.

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Tuttavia, i dati recenti non possono altro che confermare la fallacità di tali previsioni: ancora oggi, infatti, il 20% più agiato della popolazione mondiale è circa 30 volte più ricco del 20% più povero. E tale distanza, lungi dal ridursi come avevano previsto gli economisti del passato, appare persistente. È vero che i paesi più poveri si sono sviluppati e i loro redditi sono aumentati; tuttavia, essi non riescono a raggiungere i paesi più prosperi. Perché? Perché, appunto, non solo la disponibilità di materie prime e l’accesso al progresso tecnologico sono fattori di sviluppo determinanti ma, per dirla come i neovincitori, anche le “istituzioni contano”: la libertà economica, la certezza del diritto, la lotta alla criminalità, la corruzione e il ruolo delle leggi elettorali nel vincolare i politici eletti vanno considerati come fattori di sviluppo alla stessa stregua di quelli più tradizionali.

Si tratta di un approccio che, naturalmente con le opportune accortezze e modifiche, potrebbe arricchire anche il dibattito pubblico nazionale sulle differenze economiche tra le regioni del nord e quelle del sud. Il premio conferma un orientamento ormai sempre più riconoscibile dell’Accademia svedese per le scienze verso quelle ricerche che studiano come combattere e ridurre le disuguaglianze.

Un’attenzione già presente in passato, ma diventata sempre più strutturale, come certificano, per esempio, i premi Nobel assegnati nel 2023 a Claudia Goldin, sulle disuguaglianze tra uomini e donne sul mondo del lavoro, o nel 2019 a Abhijit Banerjee, Esther Duflo and Michael Kremer, per i loro contributi sulle strategie di lotta alla povertà.Premi, tra l’altro (e anche questa è attenzione alle disuguaglianze), che avevano permesso di premiare figure femminili. Prima di loro, infatti, era accaduto solo con Elinor Ostrom nel 2009.

Il Nobel a Daron Acemoglu non ha sorpreso gli addetti ai lavori. Nel 2005, l’economista turco e statunitense aveva infatti già vinto la “John Bates Clark Medal”, consegnata dall’American Economic Association al miglior giovane economista dell’anno o del biennio. Un premio che, nella maggior parte dei casi, anticipa proprio il prestigioso riconoscimento del Nobel.





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