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Secondo Condono Edilizio: la Cassazione interviene sul frazionamento artificioso #finsubito prestito immediato

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Ai fini della individuazione dei limiti stabiliti per la
concedibilità della sanatoria, ogni edificio va inteso quale
complesso unitario che fa capo ad unico
soggetto legittimato alla proposizione della domanda di
condono, 
ai sensi della Legge n. 724/1994.

Ne consegue che eventuali singole istanze presentate in
relazione alle separate unità che compongono tale edificio devono
riferirsi ad una unica concessione in sanatoria,
per evitare l’elusione del limite di 750 metri
cubi
attraverso la considerazione di ciascuna parte in
luogo dell’intero complesso.

Frazionamento artificioso domande di condono: la Cassazione
ribadisce il divieto

Sul divieto di frazionamento artificioso delle
domande di condono, finalizzato a eludere il limite volumetrico
imposto dalla normativa si è espressa la Corte di
Cassazione
con la
sentenza
del 18 settembre 2024, n. 35008
, confermando la
legittimità della sentenza esecutiva di un ordine di
demolizione.

Secondo il ricorrente, sarebbe stata fatta un’erronea
applicazione dell’art. 39 della legge n. 724/1994 (c.d. Secondo
Condono Edilizio) in quanto:

  • gli abusi edilizi non facevano capo ad un unico centro di
    interessi, bensì ad una pluralità di centri, dato che erano stati
    realizzati in tempi diversi e consistevano in distinti e autonomi
    ampliamenti del piano terra e del primo piano;
  • ne derivava l’autonoma legittimazione a proporre distinte
    domande di condono senza che esso possa essere considerato un
    artificioso frazionamento della domanda;
  • il Giudice dell’esecuzione avrebbe sommato la volumetria
    complessiva lorda dell’immobile, senza distinguere tra volumi
    tecnici/ accessori e volumi per i quali è necessaria la concessione
    in sanatoria.

Sulla questione, la Corte ha evidenziato come gli abusi avessero
comprotato il completamento nel 1996, in violazione dei
sigilli precedentemente apposti, di un immobile suddiviso in 4
appartamenti tra primo piano e piano rialzato per una volumetria
complessiva superiore a 750 mc.

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Sulle singole porzioni erano state presentate sei
domande di condono
ex lege n. 724 del 1994 positivamente
esitate a favore delle proprietarie delle singole porzioni (figlie
del ricorrente, ormai proprietario solo del deposito all’interno
dell’edificio), giuste donazioni e compravendite effettuate in
epoca successiva persino alla instaurazione dell’incidente di
esecuzione.

Secondo Condono Edilizio: i presupposti per il rilascio della
sanatoria

Al riguardo si ribadisce che ai fini della sanatoria prevista
dall’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 – secondo cui,
tra l’altro, le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28
febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, si
applicano alle opere abusive che:

  • risultino ultimate entro il 31 dicembre
    1993
    ;
  • non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al
    30 per cento della volumetria della costruzione
    originaria;
  •  ovvero, indipendentemente dalla volumetria iniziale, un
    ampliamento superiore a 750 metri cubi.

La realizzazione di un piano interrato rientra tra gli
interventi computabili ai fini della determinazione della cubatura
dell’edificio, dovendo detto calcolo essere riferito, salvo che non
viga una disposizione contraria, ad ogni elemento dell’opera idoneo
ad incidere sull’assetto del territorio ed a aumentare il carico
urbanistico.

Il Giudice dell’esecuzione ha ritenuto correttamente artificioso
il frazionamento delle domande. Sul punto, è stato ricordato che
l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, previsto dall’art.
31, comma nono, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo
Unico Edilizia
) riguarda l’edificio nel suo complesso,
comprensivo di eventuali aggiunte o modifiche successive
all’esercizio dell’azione penale e/o alla condanna, atteso che
l’obbligo di demolizione si configura come un dovere di
restitutio in integrum” dello stato dei luoghi e, come
tale, non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo
originariamente contestato, sia le opere accessorie e complementari
nonché le superfetazioni successive, sulle quali si riversa il
carattere abusivo dell’originaria costruzione.

L’edificio va inteso come complesso unitario

Non solo: il Giudice ha fatto buon governo dell’insegnamento
costante della Corte di cassazione secondo il quale, ai fini della
individuazione dei limiti stabiliti per la concedibilità della
sanatoria, ogni edificio va inteso quale complesso unitario che
faccia capo ad unico soggetto legittimato alla proposizione della
domanda di condono, con la conseguenza che le eventuali singole
istanze presentate in relazione alle separate unità che compongono
tale edificio devono riferirsi ad una unica concessione in
sanatoria, onde evitare l’elusione del limite di
settecentocinquanta metri cubi attraverso la considerazione di
ciascuna parte in luogo dell’intero complesso.

Questo principio è stato confermato anche in tema di condono
edilizio previsto dal d.l. 30 novembre 2003, n. 269, convertito,
con modificazioni, in legge 24 novembre 2003, n. 326 (c.d.
Terzo Condono Edilizio), per cui la presentazione
di plurime istanze di sanatoria relative a distinte unità
immobiliari, ciascuna di volumetria non eccedente i 750 mc.,
costituisce artificioso frazionamento della domanda, in caso di
nuova costruzione di volumetria inferiore a 3.000 mc., la cui
realizzazione sia ascrivibile ad un unico soggetto.

L’unitarietà del complesso immobiliare va riferita al centro di
imputazione di interessi cui esso fa riferimento, dovendosi
intendere per tale non l’unicità della persona fisica titolare di
tali interessi bensì la unicità della situazione giuridica
soggettiva attiva della quale il bene è oggetto
, anche se
facente capo a più persone; nel caso di comproprietà, quello che
rileva è il rapporto tra il bene e il diritto del quale è oggetto
non tra il bene e la pluralità di persone che possono disporne.

Nel caso di specie, l’immobile è unico e all’epoca degli abusi
era oggetto del diritto di comproprietà del ricorrente e della
moglie; solo successivamente è stato frazionato in tante parti
quanti erano gli appartamenti e i locali che ne sono stati ricavati
molti dei quali peraltro ceduti a terze persone.

Quanto al diverso limite volumetrico di 3000 mc. previsto
dall’art. 32, comma 25, d.l. n. 269 del 2003, cit., premesso che
nel caso di specie le concessioni in sanatoria sono state chieste e
ottenute ai sensi della legge n. 724 del 1994, tale limite postula
la legittimità delle singole istanze, legittimità che nel caso di
specie deve essere esclusa a causa dell’artificioso frazionamento
delle singole istanze.

Ordine di demolizione: non perde efficacia con trasferimento di
proprietà

Sulla natura dell’ordine di demolizione la Cassazione inoltre
ricorda che:

  • a) la sua operatività non può essere esclusa dalla
    alienazione a terzi della proprietà dell’immobile, con la sola
    conseguenza che l’acquirente potrà rivalersi nei confronti del
    venditore a seguito dell’avvenuta demolizione;
  • b) l’ordine di demolizione del manufatto abusivo è
    legittimamente adottato nei confronti del proprietario
    dell’immobile indipendentemente dall’essere egli stato anche
    l’autore dell’abuso, salva la facoltà del medesimo di far valere,
    sul piano civile, la responsabilità, contrattuale o
    extracontrattuale, del proprio dante causa;
  • c) l’esecuzione dell’ordine di demolizione del manufatto
    abusivo impartito dal giudice a seguito dell’accertata violazione
    di norme urbanistiche non è esclusa dall’alienazione del manufatto
    a terzi, anche se intervenuta anteriormente all’ordine medesimo,
    atteso che l’esistenza del manufatto abusivo continua ad arrecare
    pregiudizio all’ambiente.

Per queste ragioni, l’ordine demolitorio, diversamente dalla
pena, ma si trasmette agli eredi del responsabile e dei suoi aventi
causa che a lui subentrino nella disponibilità del bene.

E ancora:

  •  l’ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto
    con la sentenza di condanna ha natura di sanzione
    amministrativa;
  • assolve ad una funzione ripristinatoria del bene leso;
  • non ha finalità punitive ed ha carattere reale, con effetti sul
    soggetto che si trova in rapporto con il bene, anche se non è
    l’autore dell’abuso, con la conseguenza che non può ricondursi alla
    nozione convenzionale di “pena”, nel senso elaborato dalla
    giurisprudenza della Corte EDU, e non è soggetto a
    prescrizione
  • la demolizione, a differenza della confisca, non può
    considerarsi una «pena» nemmeno ai sensi dell’art. 7 della CEDU,
    perché «essa tende alla riparazione effettiva di ‘un danno e non è
    rivolta nella sua essenza a punire per impedire la reiterazione di
    trasgressioni a prescrizioni stabilite dalla legge».
  • non rileva l’affidamento che il titolare del bene da demolire
    possa fare sull’inerzia della AG: il decorso del tempo, lungi dal
    radicare in qualche misura la posizione giuridica dell’interessato,
    rafforza piuttosto il carattere abusivo dell’intervento.

Non va nemmeno dimenticato che la demolizione ordinata dal
giudice penale costituisce atto dovuto, esplicazione di un potere
autonomo e non alternativo a quello dell’autorità amministrativa,
con il quale può essere coordinato nella fase di esecuzione, un
potere che si pone a chiusura del sistema sanzionatorio
amministrativo. Ne consegue che il ricorso è stato respinto,
confermando la demolizione del manufatto abusivo.





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