Il nome segnalato dalla Francia già a fine giugno per il bis salta durante i negoziati per il nuovo collegio. Non senza critiche alla gestione della presidente, che ora – oltre a essere in ritardo – ha una nuova crisi politica da gestire
Alla vigilia della presentazione della nuova Commissione europea, già rinviata e già tormentata, una bomba politica deflagra: Thierry Breton, già commissario al Mercato interno e scelto da Emmanuel Macron per il bis con l’obiettivo di sovrintendere alla politica industriale europea, si ritira sdegnato, con un j’accuse alla presidente. La scorsa settimana l’ufficializzazione della squadra era stata posticipata con l’argomento dello stallo procedurale in Slovenia, ma un ultimatum dei socialisti a von der Leyen aveva fatto emergere le tensioni tra la presidente popolare e le famiglie progressiste, irritate anche per il possibile ruolo apicale assegnato all’estrema destra con Raffaele Fitto. Lo stallo sloveno non si è ancora risolto, e dato l’affaire Breton, l’intero battesimo della Commissione von der Leyen 2 appare ufficialmente in tilt.
L’annuncio di Breton
«Breaking news: ecco il mio ritratto ufficiale per il nuovo mandato della Commissione europea».
Pubblica un quadro vuoto, Thierry Breton, di prima mattina, facendo intendere che il suo bis in Commissione non ci sarà. E dire che Emmanuel Macron era stato tra i primissimi a indicare il nome del commissario: mentre alcuni paesi, come l’Italia, hanno aspettato fine agosto, la Francia ha sempre avuto le idee chiare. E Breton non era solo destinato a essere in Commissione, ma con l’aspettativa di avere un ruolo decisivo.
Quando la macroniana Valérie Hayer, capogruppo dei liberali di Renew, qualche giorno fa ha espresso a von der Leyen la sua «preoccupazione» per il ruolo di Fitto, sul quale si vociferava una vicepresidenza esecutiva, una delle ragioni del fastidio sotto traccia era l’eventualità che il ministro meloniano potesse scalfire in qualche modo il margine di manovra di Breton; magari in tema di competitività.
Ora Breton molla irritato, e ricostruisce così l’episodio: la presidente il 24 luglio aveva chiesto ai leader di indicare i nomi, «specificando che gli stati membri che intendessero indicare il commissario uscente non dovessero indicare due nomi», maschile e femminile. «Il 25 luglio Macron ha designato me, come aveva del resto già annunciato al Consiglio europeo di fine giugno», quello delle nomine.
Poi la crisi: «Pochi giorni fa, nella fase proprio finale dei negoziati sulla composizione del futuro collegio, Lei, presidente, ha chiesto alla Francia di ritirare il mio nome – per ragioni personali che Lei con me non ha mai affrontato direttamente – e ha offerto, come scambio politico, un presunto portafoglio più influente per la Francia. Ora Lei riceverà la proposta di un nuovo candidato».
Un posto vuoto
Evidentemente durante i negoziati, quando la Francia ha lamentato di non avere sufficiente spazio, von der Leyen ha contestato il nome di Breton; a quel punto lui ha portato parzialmente allo scoperto le dinamiche in corso.
«Ad ogni modo, alla luce degli ultimi sviluppi – che testimoniano ulteriormente una governance discutibile – devo concludere di non poter più esercitare le mie funzioni nel collegio». Dimissioni immediate quindi, con un affondo: la critica alla gestione von der Leyen. Nel precedente mandato il liberale Breton è stato tra i pochi a osare criticare la gestione accentratrice della presidente; in alcuni collegi a farlo erano lui e Borrell, socialista.
Il suo ritiro inciderà in una futura Commissione che al momento, dai nomi presentati, è già sbilanciata a destra.
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