Dove sono finiti coloro che si stracciavano le vesti quando, durante il Covid, venivano chiuse le scuole? Ora invece chiudono per pioggia. Per evitare
un disastro, ma anche perché sono l’anello debole: basta non toccare
gli interessi economici e materiali. Alla faccia della «priorità nazionale» dell’istruzione
dove sono finiti tutti quelli che si stracciavano le vesti per la chiusura delle scuole durante un’epidemia mondiale ed epocale, adesso che le scuole vengono chiuse, giorno sì e giorno no, per pioggia? Fino a qualche giorno fa, ero convinto che calamità naturali fossero eruzioni vulcaniche e terremoti, cadute di meteoriti, epidemie e alluvioni, ma ora ho realizzato che anche la pioggia fa parte a pieno titolo degli eventi eccezionali che richiedono misure eccezionali.
Nessuno vuole negare la straordinarietà della quantità di pioggia del periodo – ma non è la prima volta nella storia, né sarà l’ultima, che a Bergamo piove molto –, i danni che si sono verificati, i rischi che potrebbero verificarsi, ma siamo alle solite: perché, se lo spostamento della popolazione è così insicuro, chiudono soltanto le scuole, e neanche di tutti gli ordini? Come sanno tutti, gran parte del traffico dalle e verso le valli, lungo i corsi del Serio e del Brembo, non è causato dalle scuole. La sensazione è che, come al solito, ci si sciacqui (è il caso di dirlo) la coscienza sacrificando l’anello debole: le autorità amministrative non hanno la possibilità o il tempo o la capacità di risolvere i problemi – sanando gli abusi urbanistici, sistemando le strade e i sistemi fognari, arginando adeguatamente i fiumi – e così, per evitare il disastro, si interviene preventivamente laddove nessuno dirà nulla, perché basta non toccare interessi economici e materiali per garantirsi la quiete sociale.
L’assurdo di questa situazione è che avviene in un periodo in cui mezzi d’informazione e intellettuali, psicologi e psichiatri, sociologi e criminologi, politici e tuttologi ci avvertono a ogni ora dell’assoluta emergenza educativa, dei danni che i ragazzi hanno subito dalla chiusura delle scuole, del ruolo fondamentale che queste hanno nell’affrontare i problemi delle nuove generazioni. La chiusura fantasiosa di questi giorni, con schemi incrociati da schedina 1 x 2 – solo le superiori, no, solo certi comuni, no, tutte le scuole e anche l’università, no, l’università resta aperta –, dice molto della concezione odierna della scuola: non più un servizio per lo Stato, per istruire cittadini, ma un servizio per i genitori, cosicché le prime a essere sacrificate sono le scuole dei più grandi e le ultime quelle dei più piccoli, che i genitori al lavoro non saprebbero dove collocare. Alla faccia della scuola come «priorità nazionale» e di tutte le altre belle parole di cui piace riempirsi la bocca. Io non sono nessuno per dire se la chiusura di martedì e di giovedì sia stata sproporzionata, esagerata, inopportuna: ma ci venga almeno lasciato il diritto di interrogarci sulla schizofrenia del mondo d’oggi, che parla in un modo e agisce nell’esatto opposto. Anche perché forse ci salveremo dall’alluvione, ma di certo siamo già abbondantemente affogati nel ridicolo.
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