Un intervento che implica l’occupazione di nuovo volume e
superficie utile, realizzato mediante opere di rimodellamento della
morfologia del terreno, che presenti un carattere di
stabilità fisica e permanenza temporale in quanto
fisicamente ancorato al suolo, non può che considerarsi ricompreso
nella categoria della nuova costruzione, e deve
pertanto essere soggetto alla sanzione demolitoria e al
ripristino dello stato dei luoghi.
Nuove costruzioni in area vincolata: sì alla demolizione se
manca il permesso di costruire
A chiarirlo è il TAR Campania con la sentenza
del 26 agosto 2024, n.
4663, rigettando il ricorso per l’annullamento
dell’ordinanza di demolizione relativo a diverse opere conseguite,
senza titoli o in difformità dagli stessi, all’interno di
un’area sottoposta a vincoli di tutela
paesaggistica ai sensi del D.lgs. n. 42/2004
(Codice dei beni culturali e del paesaggio).
Viene specificato innanzitutto che, in presenza di una pluralità
di opere abusive realizzate sullo stesso manufatto,
dev’essere sempre condotta una valutazione globale
– e non atomistica – degli interventi realizzati, perché solo in
questo modo si può realmente comprendere l’impatto prodotto
sull’assetto territoriale.
Categorie interventi edilizi: descrizioni e differenze
In tal senso, è fondamentale saper distinguere le varie
categorie di interventi edilizi di cui
all’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico
Edilizia), tenendo a mente che:
- le opere fisicamente ancorate al suolo, che comportino una
trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, attuate
attraverso opere di rimodellamento della morfologia del terreno,
sono da considerarsi come interventi di nuova
costruzione, a prescindere dai materiali utilizzati e dal
potenziale grado di amovibilità del manufatto; ciò sia che si
tratti di un nuovo fabbricato fuori terra o interrato, oppure di un
ampliamento di un’opera già esistente al di fuori della sagoma
stabilita; - rientrano nella nozione di ristrutturazione
edilizia, invece, le opere di modifica di un immobile già
esistente laddove siano rispettate le caratteristiche fondamentali
dello stesso, non potendo qualificarsi come ristrutturazione la
totale trasformazione di un manufatto che comprenda la creazione di
nuovo volume e di un disegno sagomale differente rispetto alla
struttura originaria, con conseguente realizzazione di un’opera
che, nel complesso, sia oggettivamente diversa da quella
preesistente.
In sostanza, si spiega, possono rientrare nel concetto di nuova
costruzione anche le opere di ristrutturazione,
qualora le modifiche volumetriche e di sagoma non risultino di
portata limitata o, comunque, non siano riconducibili
all’organismo strutturale esistente prima dei lavori.
In tema di differenti categorie di interventi, infine, viene
chiarito che:
- possono essere ricomprese nel restauro e risanamento
conservativo solo le opere volte a conservare l’organismo
edilizio al fine di assicurarne la funzionalità, che siano condotte
senza alterare gli elementi tipologici, formali e strutturali
sussistenti nella condizione ante operam; - nella categoria della manutenzione
straordinaria, invece, rientrano le opere di modifica,
rinnovo e sostituzione di parti anche strutturali degli edifici,
che non comportino alterazioni alla volumetria complessiva,
incrementi del carico urbanistico o mutamenti urbanisticamente
rilevanti delle destinazioni d’uso.
Di conseguenza, si spiega, gli interventi che, anche sotto il
profilo della distribuzione interna, alterino l’originaria
consistenza fisica di un immobile e comportino la modifica
e ridistribuzione dei volumi, non possono essere
ricondotte nella manutenzione straordinaria né nel restauro o
risanamento conservativo, ma devono essere considerate come
ristrutturazione edilizia.
Ampliamenti senza titoli né autorizzazione: ripristino
obbligatorio
Nel caso in esame sono stati conseguiti, senza titoli edilizi o
in difformità dagli stessi, molteplici interventi che hanno
comportato incrementi di volume e superficie
utile, quali:
- trasformazione del porticato preesistente in ambiente
pertinenziale adibito a ingresso/soggiorno, con chiusura dello
stesso mediante apposizione di un muretto; - realizzazione di una tettoia coperta, chiusa con veranda in
alluminio e adibita a cucina; - realizzazione di una scala in ferro per accedere al lastrico
solare; - ridistribuzione degli spazi interni in difformità rispetto a
quanto assentito.
Per i giudici del TAR appare evidente che le opere conseguite,
valutate nel loro complesso, siano riconducibili al
concetto di nuova costruzione, non potendo essere
ricomprese – visto quanto spiegato – in alcuna delle altre
categorie di interventi disposte dal Testo Unico Edilizia, né
tantomeno risultano considerabili come pertinenze o assentibili
mediante semplice SCIA.
Viene chiarito, infatti, che la nozione di pertinenza
urbanistico-edilizia è limitata alle sole opere accessorie
di modesta entità che siano prive di autonomia funzionale, e non
può in alcun modo essere estesa anche ad interventi che comportino
– come in questo caso – rilevanti incrementi di superficie coperta,
a prescindere dall’effettivo utilizzo che il
soggetto faccia dell’ambiente realizzato.
Le opere rientrano pertanto nel concetto di nuova
costruzione di cui all’art. 3, lett. e) del
TUE, che comprende i lavori di “trasformazione
edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle
categorie definite alle lettere precedenti”, e che peraltro –
al punto e.6) – include anche “gli interventi
pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in
relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico
delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione,
ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al
20% del volume dell’edificio principale”.
Difatti, nel caso in questione, gli abusi sono stati realizzati
in area sottoposta a vincolo paesaggistico, oltre che senza titoli,
anche senza autorizzazione paesaggistica, e
risulta pertanto applicabile il regime sanzionatorio di cui
all’art. 31 del TUE, che impone l’adozione
dell’ordine ripristinatorio.
Si fa presente, peraltro, che anche volendo ricomprendere le
opere conseguite nel regime della SCIA, troverebbe comunque
applicazione l’art. 167 del Codice dei beni
culturali, che prevede l’obbligo di demolizione per tutti
i casi di opere conseguite in assenza o in difformità
dall’autorizzazione paesaggistica che abbiano comportato
incrementi di volumi o superfici utili, senza
distinzioni tra volume tecnico o altro tipo di volume. Per tutti i
motivi detti, il ricorso è stato respinto.
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