La sua “condizione di demenza” è “accertata” per questo “c’è incompatibilità conclamata con la detenzione in carcere“. Anche per la Procura generale di Milano, Renato Vallanzasca deve lasciare il carcere per essere trasferito un luogo di cura, in detenzione domiciliare, date le gravi condizioni di salute. È “il momento di modificare la condizione di detenzione, da eseguire nella struttura assistenziale” per malati di Alzheimer e demenza “che ha dato disponibilità”, ha detto il sostituto procuratore generale Giuseppe De Benedetto nell’udienza davanti al Tribunale di Sorveglianza, alla quale ha partecipato lo stesso Vallanzasca. La decisione arriverà nei prossimi giorni.
La giudice Carmen D’Elia ha ripercorso le relazioni mediche, anche del servizio di medicina penitenziaria, che hanno dato conto in questi mesi delle condizioni dell’ex boss della banda della Comasina e dei suoi gravi problemi cognitivi. Condizioni che producono “paranoia, deliri notturni“, “afasia” e che l’hanno portato a cadere dal letto e ad essere ricoverato più volte in questi mesi. “Le sue condizioni non gli fanno nemmeno capire il senso della pena“, hanno messo nero su bianco i difensori in una delle memorie. Per questa “patologia senza soluzione” il pg De Benedetto ha chiesto, così come la difesa, il “differimento pena nella forma della detenzione domiciliare per la durata che il Tribunale riterrà opportuna”.
Nell’ultima relazione medica del carcere milanese di Bollate, l’ex boss della banda della Comasina viene descritto come “disorientato nel tempo e parzialmente nello spazio”, con “comportamenti inadeguati” e “scarsamente collaborativo”. “Gravi condizioni di salute” che hanno spinto i suoi difensori a chiedere il trasferimento, in regime di detenzione domiciliare, in una struttura di cura. I legali Corrado Limentani e Paolo Muzzi nel loro intervento hanno parlato di una malattia che per la prima volta si è manifesta “nel gennaio 2023” e in “rapido e progressivo peggioramento“. L’ambiente carcerario “peggiora il suo stato”. Così hanno preso contatti con una struttura assistenziale per malati di Alzheimer “legata alla Chiesa e in provincia di Padova“, che ha già visitato Vallanzasca e si è detta pronta ad accoglierlo. “I carabinieri – ha spiegato la difesa prima dell’udienza – hanno detto che quel posto va bene per il profilo dei servizi di vigilanza”. “Una persona in queste condizioni, non più autosufficiente, può essere ritenuta pericolosa? Il carcere – hanno concluso i difensori – non può ledere i diritti fondamentali della persona”. Vallanzasca ha bisogno di “specialisti e di stimoli cognitivi”. Per il 14 ottobre, tra l’altro, è prevista la visita del medico legale per la “domanda di invalidità”.
Nella relazione, acquisita dai legali nei mesi scorsi, l’equipe di medici del carcere di Bollate, dove è detenuto il protagonista della mala milanese degli anni ’70 e ’80, aveva già spiegato che l’ambiente “carcerario” è “carente nel fornire” le cure e gli “stimoli cognitivi” di cui ha bisogno Vallanzasca, che soffre di un decadimento mentale. E che va trasferito in un “ambito residenziale protetto”, in un “luogo di cura esterno”. Anche una recente relazione dei servizi di medicina penitenziaria del San Paolo di Milano segnala che le sue “condizioni cliniche sono difficilmente compatibili col regime carcerario” e che serve per lui “una struttura assistenziale”. Nei mesi scorsi il Tribunale di Sorveglianza aveva dato l’ok al 74enne per tornare ad usufruire dei permessi premio di dodici ore da trascorrere in una comunità terapeutica.
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