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Sempre emendabile la dichiarazione con esercizio di opzione, se la scelta è dipesa da incertezza interpretativa #finsubito prestito immediato


L’emendabilità della dichiarazione dei redditi può essere effettuata non oltre i termini di cui all’articolo 43, D.P.R. 600/1973, se diretta a evitare un danno per la P.A. (articolo 2, comma 8, D.P.R. 322/1998); mentre, se intesa a emendare errori od omissioni in danno del contribuente (articolo 2, comma 8-bis, D.P.R. 322/1998) incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo. Tuttavia, la dichiarazione dei redditi e il connesso esercizio di un’opzione per un regime agevolativo sono sempre emendabili nel caso la scelta del contribuente sia stata condizionata da una oggettiva incertezza interpretativa della normativa agevolativa applicabile.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14889/2024, ha chiarito che la dichiarazione dei redditi e il connesso esercizio di un’opzione per un regime agevolativo sono sempre emendabili nel caso la scelta del contribuente sia stata condizionata da una oggettiva incertezza interpretativa della normativa agevolativa applicabile.

I fatti di causa

L’agente della riscossione ha notificato alla società contribuente una cartella di pagamento emessa a seguito di un controllo automatizzato della dichiarazione dei redditi[1] con il quale era stato disconosciuto un maggior credito Ires per l’anno 2012, relativo all’agevolazione c.d. Tremonti ambiente[2], in quanto l’opzione per l’applicazione del regime agevolativo era stata esercitata mediante una dichiarazione integrativa.

La contribuente ha impugnato la cartella di pagamento notificata dinanzi alla competente CTP rivendicando, per quanto qui di interesse, la legittimità della dichiarazione integrativa presentata, mediante la quale era stata esercitata l’opzione per l’applicabilità dell’agevolazione c.d. Tremonti Ambiente, dichiarazione invece considerata non proponibile e comunque tardiva dall’Agenzia delle entrate.

La CTP adita ha accolto le argomentazioni della contribuente proposte con il ricorso introduttivo e ha annullato la cartella impugnata.

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L’Agenzia delle entrate ha proposto appello avverso la sentenza di I grado dinanzi alla CTR del Piemonte che, in riforma della decisione di I grado, ha ritenuto che la contribuente non potesse modificare l’originaria scelta di non avvalersi dell’agevolazione fiscale mediante la presentazione di una dichiarazione integrativa; per l’effetto ha confermato la piena efficacia della cartella di pagamento impugnata.

La contribuente ha proposto ricorso per Cassazione contro la sentenza emessa dai giudici di II grado, lamentando un errore del collegio giudicante d’appello nell’interpretazione dell’articolo 2, commi 8 e 8-bis, D.P.R. 322/1998, nella parte della decisione in cui è stato ritenuto che la mancata tempestiva richiesta di un’agevolazione fiscale, nelle specie la c.d. Tremonti ambiente, fosse un’opzione non modificabile mediante la presentazione di una dichiarazione integrativa.

Incertezza interpretativa

Secondo la ricostruzione attorea, l’esercizio dell’opzione per l’applicazione del regime agevolativo non è stato effettuato tempestivamente ma solo con una dichiarazione integrativa, a causa di un’incertezza interpretativa sulla normativa applicabile.

In particolare, era incerto se la contribuente, avendo già usufruito della tariffa incentivante del c.d. “secondo conto energia[3] per l’installazione di pannelli fotovoltaici, potesse beneficiare anche della predetta agevolazione c.d. Tremonti ambiente.

Chiarita l’incertezza nel luglio 2012[4], la contribuente ha presentato le dichiarazioni integrative e ha esercitato l’opzione per l’agevolazione c.d. “Tremonti ambiente” per gli anni dal 2010 al 2013.

Emendabilità della dichiarazione

La questione di diritto sottoposta al vaglio dei giudici di legittimità verteva non già sulla mera emendabilità della dichiarazione dei redditi e sulle relative tempistiche di presentazione delle dichiarazioni integrative, quanto – più nel dettaglio – se fosse possibile per il contribuente modificare una scelta circa l’esercizio di un’opzione agevolativa concessa dal Legislatore, valutazione tipicamente discrezionale connessa all’esercizio di un diritto potestativo che solo il titolare può effettuare, nel caso l’originaria scelta fosse stata influenzata da un’incertezza normativa dovuta a interpretazioni non univoche di differenti provvedimenti normativi che disciplinavano le agevolazioni applicabili.

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La normativa applicabile

L’emendabilità della dichiarazione è disciplinata dall’articolo 2, commi 8 e 8-bis, D.P.R. 322/1998 che, nella versione ratione temporis vigente, prevedeva:

8 – … le dichiarazioni dei redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dei sostituti d’imposta possono essere integrate per correggere errori od omissioni mediante successiva dichiarazione da presentare … non oltre i termini stabiliti dall’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni.

8 bis – Le dichiarazioni dei redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dei sostituti di imposta possono essere integrate dai contribuenti per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d’imposta o di un minor credito, … non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo”.

L’interpretazione fornita dalla Corte di Cassazione

Il Supremo Collegio, prima dell’ordinanza in esame, aveva già affrontato la questione dell’emendabilità della dichiarazione dei redditi.

In particolare, con la sentenza a Sezioni Unite n. 13378/2016 aveva chiarito che in caso di errori od omissioni, la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini di cui all’articolo 43, D.P.R. 600/1973, se diretta a evitare un danno per la P.A. (articolo 2, comma 8, D.P.R. 322/1998), mentre, se intesa a emendare errori od omissioni in danno del contribuente (articolo 2, comma 8-bis, D.P.R. 322/1998) incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo.

In un precedente arresto giurisprudenziale di legittimità, la Corte di Cassazione aveva anche specificato che l’errore relativo all’esercizio di un’opzione offerta dal Legislatore, costituente espressione di volontà negoziale del contribuente, è emendabile e ritrattabile solo se essenziale e riconoscibile dall’Amministrazione finanziaria, secondo la disciplina generale dei vizi della volontà di cui all’articolo 1427 e ss., cod. civ., estesa dall’articolo 1324, cod. civ. agli atti unilaterali in quanto compatibile (sentenza n. 19410/2015).

Il giudice di legittimità, in nuce, ha chiarito che l’emendabilità della dichiarazione dei redditi è correlata alla differente natura e funzione svolta dalla dichiarazione stessa, a seconda che si tratti di dichiarazione di scienza o di atto negoziale, prevedendo per questo secondo caso una più stringente ipotesi di modificabilità della dichiarazione presentata, limitata al solo caso di scelta negoziale viziata da un errore essenziale e oggettivamente riconoscibile, di cui il contribuente deve dare prova: “le denunce dei redditi costituiscano di norma delle dichiarazioni di scienza, e possano quindi essere modificate ed emendate in presenza di errori che espongano il contribuente al pagamento di tributi maggiori di quelli effettivamente dovuti, nondimeno quando il legislatore subordina la concessione di un beneficio fiscale ad una precisa manifestazione di volontà del contribuente, da compiersi direttamente nella dichiarazione attraverso la compilazione di un modulo predisposto dall’erario, la dichiarazione assume per questa parte il valore di un atto negoziale, come tale irretrattabile anche in caso di errore, salvo che il contribuente dimostri che questo fosse conosciuto o conoscibile dall’Amministrazione” (Cassazione, sentenza n. 19410/2015; vedi anche Cassazione, sentenze n. 1427/2013 e n. 7294/2012 e ordinanza n. 20208/2015).

La maggiore libertà nell’emendabilità delle dichiarazioni dei redditi aventi natura di dichiarazioni di scienza è giustificata dal rispetto del principio della capacità contributiva previsto dall’articolo 53, Costituzione – “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva” – in forza del quale non si può assoggettare un contribuente a un prelievo fiscale più gravoso di quello a cui dovrebbe essere sottoposto secondo la legge, a causa di errori di fatto o di diritto commessi nella dichiarazione dei redditi.

Sul punto la Cassazione si è soffermata spesso, chiarendo una prima volta che “si rivelerebbe difficilmente compatibile con i principi costituzionali della capacità contributiva (articolo 53, comma 1, della Costituzione) e dell’oggettiva correttezza dell’azione amministrativa (articolo 97, comma 1, della Costituzione) un sistema legislativo che, radicalmente negando la rettificabilità della dichiarazione, si proponesse di sottoporre il contribuente dichiarante, sulla base di tale atto, ad un prelievo fiscale sostanzialmente e legalmente indebito” (Cassazione, sentenza SS.UU. n. 15063/2002); successivamente, tornando sul punto, ha ulteriormente chiarito che “ogni interpretazione del sistema legislativo che, radicalmente negando la rettificabilità della dichiarazione da parte del contribuente dichiarante, al fine di rimuovere errori ed inesattezze per lui pregiudizievoli, finirebbe per sfociare nel risultato di sottoporre detto contribuente, solo sulla base dell’atto discusso, ad un prelievo fiscale sostanzialmente e legalmente indebito, e si rivelerebbe, perciò, difficilmente compatibile con i principi costituzionali della capacità contributiva (articolo 53, comma 1, della carta costituzionale) e della correttezza oggettiva dell’azione amministrativa (articolo 97, comma 1, della Costituzione)” (Cassazione, sentenza SS.UU. n. 17394/2002, interpretazione poi confermata dalla Cassazione, sentenze SS.UU. n. 119/2003 e n. 7810/2003). Da ultimo, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 5738/2007 ha ribadito che “un sistema legislativo che intendesse negare in radice la possibilità di rettificare la dichiarazione, darebbe luogo a un prelievo fiscale indebito, incompatibile coi principi costituzionali della capacità contributiva (articolo 53 Cost., comma 1) e dell’oggettiva correttezza dell’azione amministrativa (articolo 97 Cost., comma 1)”.

La Cassazione, con giurisprudenza consolidata si è spinta oltre, riconoscendo la possibilità di emendare la dichiarazione di scienza anche in sede contenziosa, oltre il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, come chiarito dall’ordinanza della Cassazione n. 30796/2018:

“la natura giuridica della dichiarazione fiscale, quale mera esternazione di scienza … deve, pertanto, riconoscersi al contribuente la possibilità, in sede contenziosa, di opporsi alla maggiore pretesa tributaria azionata dal fisco anche con diretta iscrizione a ruolo a seguito di mero controllo automatizzato – allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella sua redazione ed incidenti sull’obbligazione tributaria, indipendentemente dal termine (decadenziale) di cui al citato articolo 2”.

Principio da ultimo confermato anche dall’ordinanza in commento n. 14889/2024: “La Suprema Corte non ha peraltro mancato di precisare che in tema d’imposte sui redditi, la dichiarazione affetta da errori di fatto o di diritto da cui possa derivare, in contrasto con l’articolo 53 Cost., l’assoggettamento del contribuente a tributi più gravosi di quelli previsti per legge è comunque emendabile, anche in sede contenziosa, attesa la sua natura di mera esternazione di scienza, dovendosi ritenere che il limite temporale di cui all’articolo 2, comma 8 bis, del D.P.R. 22 luglio 1998 n. 322 sia circoscritto ai fini dell’utilizzabilità in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997 n. 241, dell’eventuale credito risultante dalla rettifica (cfr., tra le altre, Cass. sez. V, 13.1.2016, n. 373). “Deve, pertanto, riconoscersi al contribuente la possibilità, in sede contenziosa, di opporsi alla maggiore pretesa tributaria azionata dal fisco … allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella sua redazione ed incidenti sull’obbligazione tributaria, indipendentemente dal termine (decadenziale) di cui all’articolo 2 citato”, Cass. sez. V, 28.11.2018, n. 30796”.

Decisione della Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 14889/2024

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Il Supremo Collegio, nel definire la questione in decisione ha chiarito che la mancata immediata fruizione del beneficio fiscale nel relativo anno di imposta non fosse imputabile a una scelta discrezionale della società contribuente, bensì all’incertezza interpretativa relativa alla cumulabilità delle agevolazioni tributarie già usufruite, con la detassazione degli investimenti ambientali previsti dalla c.d. Tremonti ambientale.

Incertezza interpretativa che è stata risolta dall’articolo 19, D.M. 5 luglio 2012, come segue “… il limite di cumulabilità ivi previsto si applica anche alla detassazione per investimenti di cui all’articolo 6, commi da 13 a 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388”; interpretazione successivamente ripresa e confermata dalla stessa Agenzia delle entrate con la risoluzione n. 58/E/2016 che ha ribadito la “possibilità di beneficiare dell’agevolazione in un periodo d’imposta successivo a quello di effettuazione dell’investimento ambientale, conformemente a quanto chiarito con la risoluzione n. 132/E del 20 dicembre 2010 in relazione alla già citata agevolazione “Tremonti-ter”, si è ritenuto che la mancata indicazione della deduzione per fruire della detassazione ambientale entro il termine di presentazione della dichiarazione originaria non sia di ostacolo alla possibilità di avvalersi di tale deduzione in sede di dichiarazione dei redditi integrativa ai sensi dell’articolo 2, comma 8 bis, del D.P.R. 322 del 1998”.

La Corte definendo il giudizio, ha riconosciuto la possibilità di esercitare un’opzione per un regime agevolativo mediante la presentazione di una dichiarazione integrativa e ha enunciato il seguente principio di diritto “in tema di dichiarazione dei redditi, in caso di mancata fruizione di beneficio fiscale da parte del contribuente, l’errore di fatto o di diritto è emendabile, mediante dichiarazione integrativa, qualora sia imputabile all’obiettiva incertezza interpretativa sulla norma agevolativa (nella specie, relativa alla cumulabilità delle agevolazioni consistenti nella tariffa incentivante prevista dal “conto energia” e nella detassazione, “ora per allora”, degli investimenti ambientali ai sensi della c.d. “Tremonti ambientale”)”.

Alla luce delle precedenti pronunce giurisprudenziali della Corte di Cassazione, questo orientamento interpretativo può ragionevolmente essere considerato come consolidato, in virtù anche dei 2 recenti precedenti decisi dal collegio in maniera conforme alla pronuncia in esame, con le ordinanze n. 40862/2021 e n. 33660/2022.

Detta circostanza rileverà certamente in futuro, alla luce del dettato dell’articolo 360-bis, n. 1), c.p.c. che prevede che un ricorso per Cassazione è inammissibile “quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa”, rendendo di fatto – sul principio qui in esame – non contestabili in Cassazione le sentenze di merito che faranno utilizzo del principio sull’emendabilità della dichiarazione dei redditi sopra descritto.

In sostanza, la Corte di Cassazione, mediante la declaratoria di inammissibilità dei nuovi ricorsi, potrebbe decidere di non tornare ad affrontare l’interpretazione ermeneutica di detto principio, considerandolo ormai consolidato, salvo che emergano dai nuovi ricorsi proposti elementi ulteriori che possano indurre il collegio a modificare il proprio orientamento.

Decisione incidentale processuale

Il collegio – in via incidentale di rito – ha respinto l’istanza della contribuente di trattazione del giudizio in pubblica udienza avanzata in ragione della peculiarità e rilevanza della materia trattata, escludendo la sussistenza dei requisiti dell’articolo 375, c.p.c., che prevede:

La Corte, sia a Sezioni Unite che a sezione semplice, pronuncia in pubblica udienza quando la questione di diritto è di particolare rilevanza, nonché nei casi di cui all’articolo 391-quater.

La Corte, sia a Sezioni Unite che a sezione semplice, pronuncia con ordinanza in camera di consiglio quando riconosce di dovere:

1) dichiarare l’inammissibilità del ricorso principale e di quello incidentale eventualmente proposto, anche per mancanza dei motivi previsti dall’articolo 360;

1-bis) dichiarare l’improcedibilità del ricorso;

[…]

4) pronunciare sulle istanze di regolamento di competenza e di giurisdizione, salva l’applicazione del primo comma;

4-bis) pronunciare nei casi di correzione di errore materiale;

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4-ter) pronunciare sui ricorsi per revocazione e per opposizione di terzo, salva l’applicazione del primo comma;

4-quater) in ogni altro caso in cui non pronuncia in pubblica udienza”.

Il collegio, in particolare, ha sostenuto che nel giudizio di Cassazione, il collegio giudicante può escludere, nell’esercizio della propria discrezionalità, la rimessione di una causa alla pubblica udienza, in ragione del carattere consolidato del principio di diritto da applicare e quando non si verta in ipotesi di decisioni aventi rilevanza nomofilattica, stante la compatibilità dell’adunanza camerale con la trattazione di questioni nuove, soprattutto se non oggettivamente inedite.

Il Supremo Collegio aveva già assunto un orientamento conforme con l’ordinanza SS.UU. n. 14437/2018 con cui è stato chiarito che “la valutazione della ricorrenza degli estremi per la trattazione del ricorso in pubblica udienza, cioè della particolare rilevanza della questione di diritto coinvolta, rimane ampiamente discrezionale e rimessa al Collegio giudicante”, con successiva ordinanza SS.UU. n. 8093/2020, la Cassazione è tornata sul punto, chiarendo che “nel giudizio di Cassazione la rimessione di una causa alla pubblica udienza dall’adunanza camerale prevista nell’articolo 380 bis.1, c.p.c. è ammissibile in applicazione analogica del comma 3 dell’articolo 380 bis c.p.c., rientrando la valutazione degli estremi per la trattazione del ricorso in pubblica udienza e, in particolare, della particolare rilevanza della questione di diritto coinvolta, nella discrezionalità del collegio giudicante e non del presidente della sezione (Cass.n. 5533/17 ordinanza), altrettanto indubbio è che il collegio giudicante ben può escludere, nell’esercizio di tale valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza “in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare al caso di specie” (Cass.SSUU n. 14437/18, ordinanza), ed allorquando non si verta di “decisioni aventi rilevanza nomofilattica, idonee a rivestire efficacia di precedente, orientando, con motivazione avente anche funzione extra processuale, il successivo percorso della giurisprudenza” (Cass. n. 19115/17); il che è appunto quanto accade, come apparirà evidente, nel caso in esame[5].

Va certamente notato che tale orientamento restringe sensibilmente le ipotesi di definizione dei giudizi di Cassazione mediante discussione pubblica che, a norma dell’articolo 375, comma 1, c.p.c., è riservato solo alle questioni di diritto di particolare rilevanza e ai casi di revocazione di sentenze per contrarietà alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Dall’orientamento della Corte pare intendere che neppure le questioni nuove o parzialmente nuove saranno decise in pubblica udienza, con la conseguenza che il giudizio di legittimità tenderà a divenire sempre più un processo di controllo di legittimità delle precedenti decisioni di merito meramente cartolare e a contraddittorio scritto.

 

[1] Ai sensi dell’articolo 36-bis, D.P.R. 600/1973.

[2] Prevista dall’articolo 6, commi da 13 a 19, L. 388/2000.

[3] Disciplinato dall’articolo 7, D.Lgs. 387/2003 e dal D.M. 19 febbraio 2007 (Gazzetta Ufficiale n. 45 del 23 febbraio 2007).

[4] Con l’articolo 19, D.M. 5 luglio 2012 (Gazzetta Ufficiale n. 159 del 19 luglio 2012, S.O. n. 143).

[5] Si vedano anche le ordinanze della Cassazione n. 33766/2022 e n. 33811/2022.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Accertamento e contenzioso.



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