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María Medem allo Zenit dell’arte grafica #finsubito prestito immediato


Un circolo perfetto attraversato da un piccolo volatile occupa la copertina di Zenit, il fumetto dell’autrice spagnola María Medem, appena pubblicato in Italia da Diábolo Edizioni. È il sole che scandisce il tempo del racconto e i ritmi circadiani dei suoi protagonisti. Quando il disco solare arriva allo zenit, questi si riuniscono per mangiare, seduti l’uno di fronte all’altro ai capi di un tavolo troppo lungo. Lo spazio, come altri elementi del racconto, si fa metafora del carattere della loro comunicazione, sin dall’inizio tesa, impossibile: ceramista uno e soffiatore del vetro l’altro, i due vorrebbero parlare del loro lavoro, ma finiscono a cercare di ricordare il loro sonno e talvolta i loro sogni. Sivigliana di stanza a Barcellona, Medem lavora come illustratrice per testate internazionali come il New Yorker e il New York Times e Zenit, pubblicato nel 2019 da Apa Apa Comics, è il suo primo fumetto con dialoghi e anche il primo a uscire dal circuito delle autoproduzioni. Non per questo è un libro semplice: le sue atmosfere ricordano quelle metafisiche di De Chirico o quelle oniriche del fumettista Moebius, mentre il registro visivo e i temi ci riportano alle radici del surrealismo spagnolo, con figure come Salvador Dalì e Luis Buñuel come riferimento. Ne abbiamo parlato con l’autrice, ospite del recente Treviso Comic Book Festival insieme ad altri autori della casa editrice barcellonese Apa Apa Comics.

Il tuo primo fumetto con dialoghi è una riflessione sulla difficoltà di comunicare: come nasce l’idea di Zenit?
Era estate e stavo finendo un altro fumetto per una piccola casa editrice olandese. Ero sulla spiaggia con un gruppo di amiche e una di loro mi raccontò che suo fratello era sonnambulo. Il racconto mi colpì molto e continuai a pensarci mentre tornavo verso casa: il luogo era piuttosto selvaggio e devo aver camminato e pensato molto. Una volta a casa ho iniziato a documentarmi sul sonnambulismo. Rispetto alla produzione, è stato piuttosto difficile scrivere: scrivo quello che non si può raccontare con il disegno. Mi piace molto scrivere, ma provo a dare precedenza all’immagine; e scrivo comunque tanto e poi cancello intere parti. Qui il testo è in prevalenza dialogo e sì, Zenit è assolutamente un lavoro sulla comunicazione impossibile e ho lavorato pensando a tutti gli scambi comunicativi falliti per costruire.

La comunicazione è così faticosa che verso la metà del libro le due parti del dialogo si confondono. Perché?
In questo fumetto ho voluto analizzare la sensazione scomoda di non sapere ciò che è reale e ciò che non lo è, di cosa e di chi ci si può fidare e di chi no. Volevo esplorare questa sensazione e quindi approfondire sull’aspetto della comunicazione: cos’è che è solo immaginato e cosa invece è davvero pronunciato, cosa abbiamo pensato e quanto di quello che abbiamo pensato è finito nelle nostre parole.

L’estetica un po’ metafisica dell’ambientazione non fa che amplificare l’effetto straniante del dialogo tra i personaggi…
Sì è una scelta. Mi piace molto ambientare le storie in paesaggi e epoche non riconoscibili, dove non ci siano indizi spazio temporali concreti, non si capisca se siamo nel passato o nel presente, nella realtà o in un luogo immaginario. Preferisco costruire luoghi ambigui, che disorientino il lettore. In questo caso ho pensato abbastanza a Siviglia, dove il sole e il caldo svuotano letteralmente le strade, ai suoi spazi desolati nella calura estiva.

Il tempo è l’altro elemento cardine del racconto: quando il sole è allo zenit i personaggi si incontrano, mangiano e parlano, la narrazione incede attraverso questo rituale, eppure lo spazio e il sogno mettono in discussione questo ritmo, lo stesso scorrere del tempo.
Mi succede quasi sempre di disegnare storie in cui una parte è agganciata alla realtà e l’altra no, cerco un equilibrio tra ciò che è più difficile da capire, perché è più onirico e esula dal piano di realtà e un ritmo che sia riconoscibile, che riporti il lettore alla quotidianità. Ecco che i due personaggi pranzano insieme e parlano sempre della stessa cosa, che comunque non è del tutto comprensibile. Mi sembra che il contrasto funzioni: sebbene ci sfugga qualcosa, riconosciamo che questa vicenda può essere reale, c’è una logica. Ci lasciamo trasportare anche se non afferriamo elementi del racconto, ma il ritmo che ci accompagna rende il racconto familiare.

Nella realtà si rompono oggetti-i cristalli che il soffiatore di vetro trova distrutti al mattino, e mentre i protagonisti mangiano i piatti si spaccano al tocco del coltello. L’impossibilità di comunicare disintegra la materia?
Sì, è una delle virtù del fumetto e del disegno: poter esprimere idee senza parole scritte. Basta aggiungere un dettaglio, un livello di significato impossibile da tradurre in parole, ma che risulta visivamente molto diretto. Un’altra cosa che cerco di evitare è disegnare la stessa cosa della quale si sta parlando; quindi in questo caso ho disegnato prolungando la sensazione di scomodità che la difficoltà di comunicazione produce, un simbolo disegnato di quello che sta succedendo tra i personaggi.

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Anche a livello stilistico la pagina riflette la frammentazione del dialogo: la griglia spesso si scompone in molte piccole vignette, dettagli, spesso inquadrati in soggettiva. Come hai lavorato sul montaggio?
Lavoro scrivendo tutto il fumetto, poi con tutto il testo, che è come un romanzo, traduco in immagini. Quando ho il fumetto inizio a mettere il testo che avevo e compongo e cerco che il testo non disturbi né a livello visivo né concettualmente. Capita spesso infatti che lo cambi mentre lo inserisco nella pagina.

Perché i protagonisti sono artigiani?
Mi piace molto il lavoro manuale e vorrei che tutti i miei personaggi avessero un lavoro: anche in Por culpa de una flor (il nuovo libro di Maria Medem, pubblicato nel 2023 ndr) ognuno ha la propria occupazione. Il lavoro occupa buona parte del nostro tempo e filtra i nostri pensieri.

Al centro del tuo nuovo libro c’è la vita di un fiore da proteggere, in Zenit appaiono molti animali, così come nelle tue illustrazioni. Come entra il mondo naturale nel tuo lavoro?
È qualcosa di molto scontato per me, non credo che possiamo ritenerci svincolati dalla natura, quindi ti direi che la natura entra naturalmente nelle mie storie. Io vivo in città ma il mio stato psicofisico è strettamente legato al tempo atmosferico. Quindi uccelli, cani, gatti, cavalli, sono presenti nelle mie illustrazioni e nelle mie storie così come uomini e donne. Un modo meno antropocentrico di interpretare la realtà.

In molti aspetti il tuo lavoro suggerisce che non abbiamo il controllo sulla realtà, sulle relazioni. Nel libro questa idea ha conseguenze irreparabili. La storia ha sempre avuto questo finale?
Sì, il finale è tra le prime cose che decido. Anche il fatto del controllo mi influenza. Non lavoro con storyboard, faccio una pagina al giorno e non la cambio più. Però se avessi iniziato a disegnare una settimana dopo il libro sarebbe stato diverso. Come artista capisco che l’opera non si può cambiare, eppure sarebbe stata sicuramente diversa- non so se migliore o peggiore- se fosse stata prodotta in altre condizioni.

Il tuo nuovo libro «Por culpa de una flor» (Per colpa di un fiore) che speriamo di poter leggere presto in italiano, uscirà in febbraio negli Stati Uniti per la prestigiosa Drawn&Quarterly, con il titolo «Land of mirrors» (Terra di specchi). Sei soddisfatta?
Moltissimo, è una casa editrice che amo. Ho ricevuto una prova di stampa e il volume è molto bello: la copertina ha una nuova illustrazione, in cui gli specchietti sono realizzati in materiale riflettente e diversamente da quella spagnola, sarà flessibile. Considerando che avevo pensato di intitolarlo Reflejos (Riflessi) sono felice anche del titolo in inglese.



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