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La rivolta studentesca che preoccupa Milei #finsubito prestito immediato


Più passano i giorni, più la ratifica da parte del Congresso del veto di Milei sulla Legge di finanziamento universitario appare esattamente per quello che è stata: una vittoria di Pirro. La risposta delle università, ribattezzata come Estudiantazo, è stata infatti tanto rapida quanto potente: un’ottantina di facoltà occupate, lezioni all’aperto – per strada, anche sotto il sole e in mezzo al rumore del traffico -, manifestazioni e scioperi.

Il governo agita lo spauracchio della rivolta cilena – nella versione rivista e corretta della ministra della Sicurezza Patricia Bullrich, secondo cui gli studenti avrebbero «rotto e distrutto tutto» – e rivolge le sue consuete minacce. «È chiaro che dopo questo verranno le molotov», ha dichiarato la ministra, annunciando provvedimenti: «Non lo permetteremo perché non siamo scemi, sappiamo qual è il loro obiettivo», quello cioè, a suo giudizio, di una protesta fuori controllo con «rivolte e morti».

«I discorsi di violenza alimentano la violenza», le ha risposto il presidente del Consiglio interuniversitario nazionale (Cin) Víctor Moriñigo. E a prendere sul serio il pericolo è stata anche la rettore dell’Università nazionale de Comahue Beatriz Gentile, la quale ha sollecitato la giustizia a indagare sulle minacce contenute in un post su X rilanciato da Milei: «Siete avvisate, zecche. Poi non venite a piangere su diritti umani e lesa umanità».

Studenti e lavoratori, tuttavia, non si lasciano intimidire, come indica lo sciopero nazionale universitario di 24 ore che si è svolto ieri rivendicando ancora una volta l’aumento degli stanziamenti di bilancio per gli atenei pubblici e per i salari del personale docente e non docente, il 70% dei quali si trova al di sotto della soglia della povertà (e il cui adeguamento costerebbe al fisco un misero 0,14% del Pil, a fronte di una caduta degli investimenti nel settore educativo del 40% in un solo anno). E molte altre misure sono previste nel piano di lotta definito martedì dal Cin insieme al Fronte Sindacale e alla Federazione universitaria argentina: uno sciopero di 48 ore lunedì e martedì prossimi; lezioni all’aperto in tutto il paese come accompagnamento al dibattito parlamentare sulla legge di Bilancio; marce regionali in cinque diverse province nel corso di novembre.

Già mercoledì, tuttavia, studenti e lavoratori di diverse facoltà dell’Università di Buenos Aires (Uba), armati non di molotov ma di candele, avevano marciato di sera fino al Palazzo Pizzurno, la sede dell’ex ministero dell’Educazione declassato da Milei a segreteria del dicastero del Capitale umano. Una fiaccolata organizzata in segno di protesta contro l’atto di violenza consumato all’Università di Quilmes da un gruppo di militanti de La Libertad avanza – i quali avevano fatto irruzione in un’assemblea autoconvocata lanciando gas al peperoncino – ma anche contro le violenze verbali del governo Milei.

E, soprattutto, contro le sue menzogne. Come quella che in Argentina l’università pubblica sarebbe nient’altro che un regalo dei poveri ai figli della classe alta e medio-alta e ostacolerebbe, anziché favorirla, la mobilità sociale: secondo i dati ufficiali, al contrario, 2 su 3 studenti appartengono alla fascia bassa della popolazione – il 48% addirittura sotto la soglia della povertà, con uno scatto di 20 punti in appena un anno – e il 47,8% degli iscritti nel 2022 rappresentava la prima generazione di universitari nelle proprie famiglie (correndo così 4 volte in meno il rischio di lavorare senza contratto).

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O la menzogna che le università pubbliche, che per inciso godono di una profonda legittimità sociale, sfuggirebbero ai controlli da parte dello stato «per continuare a rubare», seguita dalla decisione del governo – accettata peraltro senza alcuna resistenza dai vertici accademici – di attribuire nuovamente alla Sigen (Sindicatura General de la Nación), vincolata all’esecutivo, la responsabilità dei controlli che, dal 2022, era passata all’Agn (Auditoría General de la Nación), dipendente dal Congresso. E pazienza se il titolare della Sigin Miguel Blanco abbia riconosciuto che non risulta sia stato commesso alcun atto di corruzione.



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