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Contratto preliminare di vendita di immobile appartenente in tutto o in parte ad altri: le azioni per il promissario acquirente in caso di inadempimento  #finsubito richiedi mutuo fino 100%


In tema di contratto preliminare di vendita, il promissario acquirente il quale ignori che il bene, all’atto del preliminare, appartenga in tutto o in parte ad altri, non può agire per la risoluzione prima della scadenza del termine per la stipula del contratto definitivo, in quanto il promittente venditore, fino a tale momento, può adempiere all’obbligazione di fargli acquistare la proprietà del bene, o acquistandola egli stesso dal terzo proprietario o inducendo quest’ultimo a trasferirgliela.

Da tale situazione consegue che, nel caso in cui la prestazione sia divenuta impossibile per causa non imputabile al debitore ai sensi degli artt. 1256 e 1463 c.c., l’obbligazione si estingue, con la conseguenza che non si può agire con l’azione di risoluzione, allegando l’inadempimento imputabile della parte tenuta ad eseguire la prestazione divenuta impossibile.

I citati principi sono stati richiamati e condivisi dalla Corte di cassazione, Sezione 2 Civile, con l’ordinanza del 4 ottobre 2024, n. 26053, mediante la quale ha rigettato il ricorso e confermato la decisione resa tra le parti dalla Corte di Appello di Palermo, con la sentenza n. 1477 del 2020.

La vicenda

Con atto di citazione notificato in data marzo 2007, Augusto Muzio conveniva, davanti al Tribunale di Palermo, Elvira Diomede al fine di sentire pronunciare l’esecuzione in forma specifica del contratto preliminare di vendita del terreno sito in Palermo, riportato in catasto al foglio e particella omissis, concluso con scrittura privata in data agosto 2004 tra la promittente alienante E- Diomede e il promissario acquirente A. Muzio, e – in subordine – al fine di sentire pronunciare la risoluzione di tale contratto per inadempimento della promittente venditrice, con la sua condanna al risarcimento dei danni.

Si costituiva in giudizio la Diomede, la quale concludeva per il rigetto delle domande spiegate, contestando la qualificazione giuridica della scrittura privata stipulata tra le parti in termini di contratto preliminare e rilevando che tale scrittura conteneva una mera puntuazione. Eccepiva, in ogni caso, che le trattative per la cessione del terreno si erano arenate per l’inerzia del promissario acquirente.

Interveniva volontariamente in giudizio Caio Rufo, quale comproprietario dell’immobile oggetto della promessa, sostenendo che il terreno promesso in vendita non era di proprietà esclusiva di E. Diomede, in quanto rientrava nel regime della comunione legale dei coniugi.

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Il Tribunale di Palermo, con sentenza n. 454 del 2017, dichiarava il difetto di legittimazione passiva di Caio Rufo, dichiarava che, con la scrittura privata dell’agosto 2004, era stato stipulato un contratto preliminare di vendita sospensivamente condizionato e, in accoglimento della domanda subordinata proposta dall’attore, pronunciava la risoluzione del contratto per grave inadempimento della promittente venditrice, condannando gli eredi della originaria convenuta (nel frattempo deceduta con conseguente interruzione e riassunzione del giudizio) al pagamento della somma di euro 342.060,00, oltre rivalutazione monetaria e interessi, a titolo di risarcimento dei danni.

Decidendo sui gravami interposti dagli eredi soccombenti, la Corte d’appello di Palermo, con la sentenza n. 1477 del 2020, in parziale riforma della pronuncia impugnata, dichiarava la natura di contratto preliminare non sospensivamente condizionato della scrittura privata dell’agosto 2004, conclusa tra la Diomede e il Muzio, e – per l’effetto – rigettava le domande di risoluzione del contratto per grave inadempimento della promittente alienante e di risarcimento dei danni, compensando interamente tra le parti le spese dei due gradi di giudizio.

La Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede:

b) che la scrittura privata conclusa tra le parti in data agosto 2004 conteneva tutti gli elementi essenziali del contratto preliminare, con l’esatta identificazione del bene promesso in vendita e delle sue caratteristiche giuridico-economiche nonché con l’indicazione del prezzo e con la previsione degli elementi accidentali e accessori quanto al termine di esecuzione delle contrapposte prestazioni principali e di costituzione della garanzia fideiussoria, rinviando ad un momento successivo – ossia al rilascio dell’autorizzazione edificatoria – la stipula dell’atto preliminare di vendita con la forma dell’atto pubblico, allo scopo di permetterne la trascrizione;

c) che si trattava, dunque, di un contratto preliminare di compravendita immediatamente vincolante tra le parti, sebbene produttivo di alcuni essenziali suoi effetti solo subordinatamente alla scadenza di un termine, il cui verificarsi era rimesso alla diligente cooperazione dei contraenti, secondo le modalità all’uopo stabilite, con la conseguenza che il mancato verificarsi dell’evento assunto a termine iniziale di efficacia, ove causato dal comportamento colpevole di una delle parti, avrebbe reso quest’ultima responsabile dell’omesso compimento del programma negoziale, legittimando la risoluzione del contratto per grave inadempimento, mentre, ove fosse stato determinato o reso comunque inevitabile da un fatto sopravvenuto non imputabile, avrebbe condotto al rigetto della domanda di risoluzione per inadempimento;

d) che il promissario acquirente aveva assunto l’obbligo di far redigere, a proprie spese, il progetto della nuova costruzione da realizzare sul terreno oggetto della promessa mentre la promittente venditrice si era obbligata a sottoscrivere ogni atto utile e necessario al rilascio delle autorizzazioni edificatorie;

e) che la Diomede aveva richiesto il rilascio della concessione edilizia per il terreno in questione, ma il Comune di Palermo, con atto del 26 ottobre 2005, aveva sospeso il procedimento di rilascio in ragione della sopravvenuta determinazione della Soprintendenza dei beni culturali e archeologici in data 14 ottobre 2005, in ordine all’apposizione sull’area di un vincolo limitativo dell’edificabilità, provvedimento della Soprintendenza annullato dal giudice amministrativo per un vizio procedimentale, dandosi nondimeno atto dei significativi margini di discrezionalità insiti nella valutazione degli elementi volti a confermare il vincolo;

f) che, per l’effetto, nessun inadempimento poteva addebitarsi alla promittente alienante, poiché: – la dichiarazione secondo cui il terreno in questione era edificabile in base alle norme del piano regolatore generale era veritiera;

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– il progettista incaricato dal promissario acquirente non aveva mai chiesto alla promittente venditrice di sottoscrivere atti necessari o utili al rilascio delle autorizzazioni edificatorie;

– una richiesta di rilascio di concessione edilizia era stata presentata dalla promittente venditrice nel 2005, senza esito positivo, stante la ostativa determinazione della Soprintendenza sopravvenuta al contratto (mentre l’annullamento del provvedimento della Soprintendenza non lasciava presagire l’eliminazione del vincolo).

Inoltre, la sentenza impugnata, a fronte del rilievo circa la parziale altruità del bene promesso in vendita e tale da supportare una pronuncia di risoluzione del contratto, ha comunque escluso che essa fosse idonea di per sé a generare danni da lucro cessante per lesione di un interesse positivo, stante la mancanza di un titolo abilitante all’edificazione, e ciò alla luce del rilievo secondo cui, nonostante l’attivazione della promittente alienante, sull’area era sopravvenuto un vincolo limitativo dell’edificabilità, in ragione della determinazione della Soprintendenza dei beni culturali e archeologici, il cui annullamento per ragioni formali non avrebbe scalfito il vincolo manifestato, alla stregua dei significativi margini di discrezionalità riconosciuti alla Soprintendenza dalla legge.

In altri termini, a fronte dell’impegno ad acquistare un immobile “edificabile”, l’assorbente circostanza che fosse sopravvenuta (alla stipula del preliminare di vendita) l’inedificabilità escludeva, appunto quale circostanza dirimente, la possibilità di addebitare l’inadempimento alla promittente venditrice per non avere assicurato l’effetto traslativo, a fronte dell’impegno alla vendita di un bene parzialmente di altri (non già perché questa evenienza non si fosse radicata, bensì perché superata da un rilievo preliminare, idoneo ad escludere l’addebito dell’inadempimento a carico della promittente alienante).

Per la cassazione della citata decisione d’appello Augusto Muzio ha proposto ricorso, affidato a due motivi.

I motivi di ricorso

Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte di merito, d’ufficio, senza alcuna formulazione nei motivi di appello e senza alcuna impugnazione dell’inadempimento acclarato della Diomede – per avere promesso in vendita un bene parzialmente altrui –, riformato la sentenza del Tribunale, affrontando la problematica dell’inedificabilità non imputabile alla promittente alienante e tale da escludere che potesse essere pronunciata la risoluzione per suo inadempimento per la mancanza di un titolo abilitante all’edificazione e da escludere che potessero generarsi danni da lucro cessante per lesione di un interesse positivo in favore del promissario acquirente.

Con il secondo motivo il ricorrente ha contestato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., per non avere la Corte d’appello ritenuto coperto da giudicato interno – per difetto di impugnazione sul punto – il capo della sentenza di primo grado che aveva qualificato grave l’inadempimento della convenuta per aver promesso in vendita un bene non di sua esclusiva proprietà.

La decisione in sintesi

La Corte di cassazione, con la citata ordinanza n. 26053 del 2024, ha ritenuto i motivi non fondati e ha rigettato il ricorso con conseguente conferma della decisione impugnata.

La motivazione

Il Collegio ha rilevato che, in tema di contratto preliminare di vendita, il promissario acquirente il quale ignori che il bene, all’atto del preliminare, appartenga in tutto o in parte ad altri, non può agire per la risoluzione prima della scadenza del termine per la stipula del contratto definitivo, in quanto il promittente venditore, fino a tale momento, può adempiere all’obbligazione di fargli acquistare la proprietà del bene, o acquistandola egli stesso dal terzo proprietario o inducendo quest’ultimo a trasferirgliela (Corte di cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 4164 del 02/03/2015; Corte di cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 17923 del 23/08/2007; Corte di cassazione, Sez. Un., Sentenza n. 11624 del 18/05/2006; Sentenza n. 11624 del 18/05/2006; Sez. 2, Sentenza n. 24782 del 24/11/2005).

Ne discende – in proposito – che, nel caso in cui la prestazione sia divenuta impossibile per causa non imputabile al debitore ai sensi degli artt. 1256 e 1463 c.c., l’obbligazione si estingue; con la conseguenza che non si può agire con l’azione di risoluzione, allegando l’inadempimento imputabile della parte tenuta ad eseguire la prestazione divenuta impossibile (Corte di cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 23618 del 20/12/2004; Corte di cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 119 del 11/01/1982).

Ecco il link alla decisione: Corte di cassazione, Sezione 2 Civile, ordinanza del 4 ottobre 2024, n. 26053



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