Rischia di slittare a dopo la semestrale di novembre la vendita di circa il 14% di Poste Italiane. In assenza infatti di notizie sul via libera di Consob al prospetto della seconda cessione di una quota del Gruppo Postale, l’avvio dell’offerta ipotizzato (e mai confermato) per il 21 ottobre rischia infatti di essere rinviato di almeno un mese dopo la presentazione della semestrale in programma il 6 novembre.
Di conseguenza l’opv partirà almeno la settimana successiva, che inizierà con lunedì 11 novembre, per concludersi nella più veloce delle ipotesi giovedì 14, mentre il giorno seguente dovrebbe essere così comunicato il prezzo di vendita, determinato dalle quotazioni di mercato al momento dell’operazione.
Spazio al retail
Resta dubbia anche la suddivisione delle quote tra retail, cioè investitori al dettaglio (cui sarà comunque riservato «ampio spazio»), e istituzionali: ai piccoli investitori dovrebbe essere riservato il 35% del collocamento – rispetto al 25% previsto nel 2015 –, con un 3% appannaggio dei dipendenti Poste. A questi ultimi, inoltre, saranno concesse alcune agevolazioni come la possibilità di acquistare lotti di azioni, con uno sconto fino al 30%, attingendo al Trattamento di fine rapporto.
Aspettando notizie ufficiali dal Mef, si parla di un pacchetto minimo di azioni di 250 azioni, ovvero un pacchetto dimezzato rispetto alla quotazione nel 2015, per contenere la spesa per i risparmiatori. D’altronde da allora il prezzo del titolo è raddoppiato e dunque per rendere il prezzo accessibile per i risparmiatori e per i dipendenti sembra più plausibile che il lotto minimo venga dimezzato a 3.175 euro, per comprare mille azioni. Laddove per i dipendenti i lotti potrebbero essere di 25 azioni, ad un costo di 317 euro.
Da capire inoltre , se, in questo caso come fatto in occasione della privatizzazione del 2015, per i dipendenti sarà prevista una bonus share: l’ultima volta fu attribuita un’azione gratuita ogni dieci per i dipendenti (ogni 20 per gli altri piccoli investitori) che avessero tenuto i titoli per almeno un anno.
Certezza ma anche novità assoluta: l’opv di Poste sarà la prima offerta di una società pubblica in versione digitale, ossia con l’internet banking.
Gli obiettivi del governo
Dalla vendita il governo Meloni punta a incassare poco meno di 2,5 miliardi di euro. Introiti che, insieme a quelli derivanti dalle altre operazioni (il 12,5% di Mps veduto ad aprile, con una nuova tranche in rampa di lancio a stretto giro, e il 2,8% di Eni ceduto a maggio), saranno messi a bilancio nel 2024 andando a rallentare, pur in minima parte, la corsa del debito.
Dopo la vendita lo Stato conserverà comunque circa il 51% del capitale di Poste ma concederà un’opzione green shoe per lasciare a disposizione del mercato una tranche ulteriore. (riproduzione riservata)
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