Guerra, recessione tedesca e riorganizzazioni. Soffre la metalmeccanica. La Cgil: «Sei milioni di ore di cassa integrazione, la metà delle quali riguarda le tute blu»
L’ultima cattiva notizia, in ordine di tempo, riguarda la multinazionale svizzera Bystronic (macchine per l’automazione industriale), che ha comunicato la chiusura totale delle fabbriche di San Giuliano e Fizzonasco, dove lavorano 150 persone. Poche settimane prima la doccia fredda era arrivata dalla Zaini, storica azienda produttrice di ovetti di cioccolato, che ha annunciato un piano di riorganizzazione dei reparti produttivi di Milano e Senago con la dichiarazione di 45 esuberi, cioè un terzo della forza lavoro di produzione. Calo dei volumi e alti costi delle materie prime, spiega la dirigenza. E da tutto il territorio metropolitano, a macchia di leopardo, crisi aziendali e agitazioni sindacali si accavallano, come segnali di allarme di uno scenario economico, occupazionale e — quindi — sociale che desta qualche preoccupazione. In modo particolare nel settore metalmeccanico. Al di là delle singole situazioni, il segnale di allerta rilanciato dai sindacati già dalla scorsa estate è innanzitutto il dato, in costante e rapida crescita, relativo alle ore di cassa integrazione richieste dalle aziende. «Soprattutto perché alla cassa ordinaria, che di norma si riferisce a situazioni transitorie — sottolinea Antonio Verona, responsabile dell’Ufficio studi della Cgil milanese —, si somma in misura crescente quello della cassa straordinaria, che invece riguarda crisi strutturali, quindi scenari più preoccupanti».
Le analisi del sindacato partono dalla situazione dell’economia tedesca, traino di una buona fetta della produzione milanese-lombarda, e più in generale dall’andamento delle esportazioni, che tra guerre, tensioni geopolitiche e riorganizzazioni di sistema, stanno subendo continui cambiamenti di rotta. «Sei milioni di ore di cassa integrazione, metà delle quali riguardano la metalmeccanica, sono la conseguenza della recessione tedesca — osserva infatti Luca Stanzione, segretario della Camera del lavoro —. Ma la crisi della metalmeccanica è la crisi di un sistema fatto di professionalità, design, ricerca che impoverisce tutto il sistema produttivo. Servono politiche industriali e investimenti che lo difendano. Chiamiamo a coerenza il governo, l’Europa e le imprese, che spesso parlano di “responsabilità sociale”. La soluzione non può passare da un lavoro povero, serve lavoro di qualità. Per questo non possiamo accettare licenziamenti e chiusure».
La stessa Cgil milanese fa sapere che sono diversi gli indicatori allarmanti: al solo patronato Inca, per esempio, tra settembre 2023 e settembre 2024 le domande di Naspi (l’indennità di disoccupazione) sono aumentate quasi del 20 per cento. «Significa che le aziende milanesi hanno iniziato a licenziare: la crisi c’è e procede».
Allargando lo sguardo all’intera regione, pochi giorni fa la Uil ha reso noto il suo rapporto sulla cassa integrazione relativo ai primi 8 mesi del 2024, dal quale emerge un aumento significativo delle ore nel settore industriale ed edilizio. Tra gennaio e agosto, rispetto allo stesso periodo del 2023, le ore autorizzate in Lombardia sono aumentate del 23,4 per cento, raggiungendo quota 60.169.576, con un incremento del 24,9 per cento relativo al solo comparto industriale. Milano segna un +8,2 per cento. «Siamo sempre più preoccupati per l’impatto diretto che questa crisi continua ad avere sui lavoratori — commenta il segretario confederale Uil Lombardia, Salvatore Monteduro —. Nel periodo gennaio-agosto 2024, i lavoratori in cassa integrazione in Lombardia sono stati mediamente 44.242, con un incremento di oltre 8.400 rispetto all’anno precedente. Con questi numeri la situazione non può più essere sottovalutata».
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