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Nassiriya, carabiniere teatino risarcito 21 anni dopo la strage «È una vittima di terrorismo»  – Chieti #finsubito prestito immediato – richiedi informazioni –


CHIETI. Sono passati quasi 21 anni da quando quel camion imbottito di tritolo penetrò nella base militare Maestrale, a Nassiriya, e ingoiò vite, speranze, sogni di dodici carabinieri, cinque soldati e due civili. Ventun anni di ricordi e di dolore, di decine di strade e di piazze intitolate in tutta Italia, di polemiche politiche. Ieri, 7.639 giorni dopo la strage del 12 novembre 2003, una sentenza del Consiglio di Stato ha certificato che anche chi rimase coinvolto nell’attentato senza subire lesioni è «vittima del terrorismo». È il caso di Lucio Cosenza, oggi 49 anni, di Chieti, brigadiere capo qualifica speciale dell’Arma dei carabinieri, all’epoca dei fatti in missione in Iraq.
L’ULTIMA SENTENZA
I giudici amministrativi di secondo grado hanno scritto la parola fine sulla vicenda, respingendo il ricorso presentato dal ministero dell’Interno e accogliendo la tesi di Cosenza (assistito dall’avvocato Alessandro Di Sciascio), al quale ora dovranno essere riconosciute agevolazioni in materia di contributi previdenziali, assistenza psicologica, prestazioni sanitarie e farmaceutiche e borse di studio per i figli esenti da imposizioni fiscali. Si tratta di benefici che vanno ad aggiungersi a quelli già riservati alle «vittime del dovere», tra cui un vitalizio di poco più di 1.500 euro al mese.
IL GIORNO DELL’ATTENTATO
Nel 2003 Lucio Cosenza faceva parte del 7° Reggimento carabinieri Trentino Alto Adige, con sede a Laives, in provincia di Bolzano. Quella maledetta mattina aveva da poco finito il turno, quando la devastante onda d’urto piegò anche i container accanto al modulo abitativo in cui lui stava riposando, su una brandina, dopo una notte di lavoro nella base Maestrale. Lucio, che non rimase ferito (almeno fisicamente), fu tra i primi ad arrivare sul luogo della tragedia. Una sentenza civile passata in giudicato ha riconosciuto che il militare teatino è affetto da «disturbo post traumatico da stress ad esordio tardivo», manifestatosi a distanza di nove anni dell’attentato, e che «sussiste nesso di causalità tra la patologia accertata e l’attentato terroristico di Nassiriya», di cui Cosenza «ha avuto esperienza diretta», anche perché nella strage «hanno perso la vita e subito gravi lesioni menomanti i suoi colleghi e amici».
LA PERIZIA
Scrive la Corte d’appello dell’Aquila, condividendo l’esito della perizia del medico legale Ildo Polidoro e ribaltando la sentenza di primo grado: «È del tutto evidente che il coinvolgimento emotivo determinato dall’evento in discussione è stato a lungo mascherato dalla reazione emotivo-comportamentale e dal sentimento di “responsabilità” di continuare l’opera iniziata unitamente ai propri compagni deceduti. Venuta meno tale spinta, vi è stata la piena manifestazione dei sintomi». Ma il ministero dell’Interno, già condannato a pagare circa 9.000 euro di spese legali, più i costi delle consulenze tecniche d’ufficio, ha inserito Cosenza solo tra l’elenco delle «vittime del dovere» e non in quello delle «vittime del terrorismo».
L’ITER GIUDIZIARIO
Il carabiniere teatino si è dunque rivolto al Tribunale amministrativo regionale del Lazio e ha avuto ragione. Ma neanche stavolta il ministero ha deciso di «eseguire la sentenza», tant’è che il militare dell’Arma ha dovuto presentare un altro ricorso per ottenere «l’ottemperanza» del provvedimento, con conseguente condanna dello stesso ministero a pagare più di 1.500 euro di spese processuali. Ma non è finita qui. Il ministero, infatti, ha impugnato di nuovo la decisione dei giudici amministrativi. Ieri mattina è arrivato il pronunciamento del Consiglio di Stato (presidente Rosanna De Nictolis), che ha bollato il ricorso come «infondato» e ha condannato il ministero a sborsare ulteriori 3.000 euro di spese legali. Giustizia è fatta, 7.639 giorni dopo il boato e le lacrime, il sudore e i compagni morti.
©RIPRODUZIONE RISERVATA





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