L’esposizione curata da Vittorio Sgarbi e Michele Danieli: dal 12 ottobre al 16 febbraio la mostra su Mazzolino, Ortolano, Garofalo e Dosso
Grandi e largamente sconosciuti. Così il curatore Vittorio Sgarbi presenta i pittori del Cinquecento ferrarese in mostra da oggi al 16 febbraio a Palazzo dei Diamanti a Ferrara. Naturale prosecuzione dell’esposizione dell’anno passato «Rinascimento a Ferrara. Ercole de’ Roberti e Lorenzo Costa», con cui era stato riaperto Palazzo dei Diamanti dopo i lavori di ristrutturazione, la mostra «Il Cinquecento a Ferrara. Mazzolino, Ortolano, Garofalo, Dosso», a cura di Sgarbi e Michele Danieli con la direzione di Pietro Di Natale, costituisce la seconda tappa dell’ambiziosa indagine «Rinascimento a Ferrara 1471-1598: da Borso ad Alfonso II d’Este». Vale a dire la stagione che è compresa tra l’elevazione della città a ducato e il suo passaggio dalla dinastia estense al diretto controllo dello Stato Pontificio. Il percorso dell’esposizione si muove tra le vicende artistiche del primo Cinquecento a Ferrara, dagli anni del passaggio di consegne da Ercole I d’Este al figlio Alfonso I. Fino alla morte di quest’ultimo, nel 1534, committente raffinato capace di rinnovare gli spazi privati della corte come quelli pubblici della città.
Una nuova scuola
La scomparsa della generazione di Cosmè Tura, Francesco del Cossa ed Ercole de’ Roberti aveva, infatti, lasciato Ferrara alle prese con un difficile ricambio. All’inizio del ‘500 la città, situata tra Venezia, Milano e Bologna, si propone però come un laboratorio frequentato da maestri girovaghi e in un certo senso insofferenti alle formule in voga nell’Italia centrale. Finisce così per svilupparsi una nuova scuola, più aperta agli scambi con altri centri, che ha per protagonisti Ludovico Mazzolino, Giovanni Battista Benvenuti detto Ortolano, Benvenuto Tisi detto Garofalo e Giovanni Luteri detto Dosso. Il primo, formatosi sui modelli di Ercole de’ Roberti e del primo Lorenzo Costa, orienta tutto il suo linguaggio artistico in senso anticlassico, guardando in particolar modo alla pittura e alle incisioni tedesche, da Schongauer a Dürer. Nonostante dimostri di conoscere il concittadino Boccaccio e la pittura veneziana, come anche Raffaello e la cultura antica, i suoi accenti visionari lo fano annoverare tra gli «eccentrici» attivi nell’Italia settentrionale. Specializzato soprattutto in quadri destinati al collezionismo privato e raffiguranti scene gremite di personaggi dai tratti caricati, quasi grotteschi, insofferenti agli ideali di grazia ed equilibrio predicati da Perugino e dai suoi seguaci. Anche Ortolano si orienta dapprima verso la cultura veneziana di Giorgione, per poi avvicinarsi alle novità proposte da Raffaello.
Pale d’altare, allegorie e miti
Accanto alle grandi pale d’altare produce numerosi quadri destinati alla devozione privata. Tra i riferimenti di Ortolano figura Garofalo, cioè il principale interprete e divulgatore ferrarese dello stile tipico di Raffaello. Le sue pale d’altare popolano le chiese cittadine, mentre i dipinti da cavalletto sono presenti in gran numero nelle collezioni private. Parallelamente a Garofalo si muove Dosso, che è tra gli artisti di punta e più affermati della corte di Ferrara, sotto i governi di Alfonso I e di Ercole II. Se Garofalo monopolizza le commissioni ecclesiastiche, Dosso invece è padrone del campo delle imprese ducali, in cui affronta temi allegorici e mitologici, desunti spesso dai lavori dell’Ariosto.
Gli altri maestri
Per tutti, spiega Sgarbi, «il momento fatale fu l’arrivo a Bologna nel 1516, dell’“Estasi di Santa Cecilia” di Raffaello. Il dipinto, concepito a Roma, fu inviato per essere posto nella cappella della famiglia di Elena Duglioli dall’Olio nella Chiesa di San Giovanni in Monte». La stagione del ‘500 ferrarese passa comunque anche per le opere di Domenico Panetti, Boccaccio Boccaccino, Lazzaro Grimaldi, Niccolò Pisano e il Maestro dei dodici Apostoli. Artisti tutti presenti assieme a Fra Bartolomeo, Romanino, Amico Aspertini e Albrecht Dürer nella mostra, che per il pubblico ha una sua naturale estensione sia nelle sale della Pinacoteca Nazionale che al piano nobile di Palazzo dei Diamanti.
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