BARI. Insospettabile. Dietro il suo sportello di una filiale di Intesa Sanpaolo spiava i conti correnti di persone illustri. Illustrissime. La premier Giorgia Meloni, sua sorella Arianna, il suo ex compagno Giambruno. E ancora. I ministri Daniela Santanché e Guido Crosetto. Il procuratore della Direzione nazionale antimafia Giovanni Melillo e carabinieri e militari della Guardia di finanza. Quello di Vincenzo Coviello, cinquantenne di Bitonto, era un monitoraggio quotidiano. Settemila gli accessi abusivi effettuati dal 21 febbraio 2022 al 24 aprile 2024: trecento al mese, circa quindici al giorno, su oltre 3500 clienti portafogliati di 679 filiali sparse in tutta Italia.
L’alert della banca
Sbirciava, questo è certo. Perché? Per chi? Difficile credere alla semplice ossessione. Alla raccolta spasmodica di dati solo per farsi “grande” con gli amici al bar. Secondo i primi accertamenti della procura di Bari, guidata da Roberto Rossi, Coviello avrebbe consultato conti correnti e anagrafiche. Ma quei dati non li avrebbe né scaricati né condivisi con altri della banca né salvati su supporti informatici. Insomma: nessun dossier mirato da condividere come quelli del caso Striano, l’ex tenente della finanza indagato per aver scaricato migliaia e migliaia di file segreti dalle banche dati della Dna e delle forze dell’ordine.
Vincenzo Coviello per Intesa Sanpaolo si occupava della clientela legata al business agro-alimentare con accesso a conti di società e di aziende su tutto il territorio nazionale. «Quei dati li ho consultati perché è il mio lavoro farlo», avrebbe detto per giustificarsI. Eppure l’alert è scattato lo stesso.
A banca Intesa Sanpaolo funziona così: il dipendente «autorizzato» gestisce i dati della clientela e i sistemi di controllo automatizzati monitorano i comportamenti e segnalano quelli anomali. Ad esempio, se una stessa persona viene cercata troppe volte. Insomma, se le consultazioni assumono un particolare rilievo quantitativo o qualitativo. A quel punto scatta l’allarme. E così è stato per Coviello. Gli analisti informatici del mega centro di controllo che monitora i flussi telematici di tutto l’istituto bancario da Moncalieri, comune alle porte di Torino, riscontrano le anomalie. E la banca avvia un’indagine interna. A seguire il procedimento disciplinare, che è una procedura lunga e scrupolosa. Poi il licenziamento lo scorso 8 agosto.
Il lungo elenco dei conti spiati
Oltre ad avere adottato «tempestivamente nei confronti del dipendente le opportune iniziative disciplinari», la Banca fa sapere di avere «provveduto ad informare le autorità competenti». Immediata la segnalazione al Garante della privacy e poi la denuncia in procura. Insieme a un correntista di Bitonto che sarebbe stato avvisato dal direttore dei numerosi accessi sul suo conto.
Consultazioni random per mera curiosità? Dai primi accertamenti, risulta che Coviello abbia tenuto sotto controllo guadagni e spese di politici, magistrati, sportivi, esponenti delle forze dell’ordine. E l’elenco è davvero lungo. Compaiono, così raccontano le prime informazioni, anche il presidente del Senato Ignazio La Russa, l’ex ministro Raffaele Fitto, ora alla Commissione Ue, il governatore della Puglia Michele Emiliano e quello del Veneto Luca Zaia e il procuratore della Repubblica di Trani Renato Nitti.
Vincenzo Coviello era seriale. Non ha scaricato o copiato nulla, è vero. Ma quei dati, in gran segreto, nascosto dietro il computer e dietro quella teca di vetro che separa i dipendenti dai clienti, li ha consultati. Forse appuntati. E ora gli investigatori dei carabinieri della procura di Bari stanno cercando di ricostruire la questione. Di risalire ai possibili mandanti. E di capire se il funzionario ha agito da solo o con l’aiuto di qualcuno.
Il caso Miano
I numeri di questa sorta di spy story sembrano enormi. E lo sono, se messi a confronto di un insospettabile funzionario. È doveroso, però, ricordare che Intesa Sanpaolo gestisce circa 13 milioni di clienti e al giorno transazioni che si aggirano intorno ai 20 miliardi. In questa vicenda, ciò che colpisce sono i nomi dei personaggi spiati. E c’è chi si spinge a ipotizzare un coinvolgimento degli investigatori privati. Faro degli inquirenti, che hanno acquisito documenti e file e continuano ad ascoltare testimoni, anche su eventuali pagamenti o altre utilità.
E la storia, con i dovuti distinguo, ricorda anche quella di Carmelo Miano, l’hacker di Gela che dalla sua camera a Roma, a 24 anni, ha violato i server del ministero della Giustizia e ha messo le mani su fascicoli coperti da segreto di quattro procure. «Ho rubato le email dei pm perché avevo attacchi d’ansia», avrebbe detto agli investigatori della procura di Napoli.
Ansia. Curiosità. Poi c’è chi ipotizza un grande complotto. E chi pensa a diversi mandanti impegnati a intercettare le persone giuste al posto giusto. Per ottenere le informazioni che desiderano.
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