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Pensioni minime a 621 euro nel 2025: le novità Inps in arrivo #finsubito prestito immediato

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Proroga e possibile nuovo aumento delle pensioni minime, che già lo scorso anno erano state portate a 614,77 euro. Questa la novità a cui starebbe lavorando il governo Meloni che vorrebbe alzare l’importo delle pensioni minime a 621 euro a causa dell’inflazione. Ma non solo.

Tra le novità in ambito previdenziale che potrebbero veder la luce nella prossima legge di bilancio 2025 troviamo anche un restyling del bonus Maroni e la possibilità per i lavoratori statali di rimanere a lavoro più a lungo, ma su base volontaria.

Pensioni: possibile aumento delle minime

Le pensioni minime  dal 2024 sono pari a 614,77 euro. L’aumento è stato deciso con la legge di Bilancio per il 2023 che ha introdotto l’aumento “in via transitoria” per il 2023 e per il 2024. Da qui parte il nuovo dossier previdenziale allo studio del governo Meloni e che potrebbe veder la luce nella manovra di bilancio 2025.

Secondo fonti vicini al dossier, la prima novità al vaglio dell’Esecutivo è che si punta non solo a confermare la misura della scorsa manovra 2023 che ha garantito un aumento delle pensioni più basse oltre il recupero dell’inflazione, ma anche aumentare l’importo dell’1% arrivando a 621 euro, e addirittura salire oltre questa cifra. L’anno scorso per l’incremento supplementare di questi assegni del 2,7% furono stanziati 379 milioni. I trattamenti che potrebbero essere coinvolti dovrebbero essere poco meno di 1,8 milioni.

Bonus Maroni più appetibile: come potrebbe cambiare

Parallelamente, il governo sta studiando incentivi per convincere chi ha i requisiti per la pensione anticipata a continuare a lavorare. Attualmente, esiste il cosiddetto “Bonus Maroni, che consente ai lavoratori di percepire i contributi in busta paga rinunciando all’accredito sul montante pensionistico. Tuttavia, questa misura è stata scarsamente utilizzata a causa della sua scarsa convenienza fiscale. Solo poche centinaia di persone hanno sfruttato il bonus nel 2024.

Per rendere il bonus più appetibile, il governo starebbe valutando diverse soluzioni, tra cui l’esenzione fiscale per l’importo del bonus o una riduzione della tassazione, analogamente a quanto avviene con gli aumenti salariali derivanti dalla contrattazione di secondo livello. Un’altra possibilità in discussione è l’accredito figurativo del bonus, che potrebbe essere esteso anche a coloro che hanno raggiunto i 42 anni e 10 mesi di contributi, indipendentemente dall’età.

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Pensioni statali più lontane ma su base volontaria

Sul fronte della previdenza integrativa, si sta lavorando all’adozione di un nuovo semestre di “silenzio-assenso” per il conferimento del TFR alla previdenza complementare. La proposta allo studio prevede che una quota del Tfr, pari al 25%, venga automaticamente destinata ai fondi pensione complementari. Tuttavia, il lavoratore ha la possibilità di opporsi esplicitamente a questa destinazione entro un periodo di tempo stabilito, che potrebbe essere di sei mesi. Questo meccanismo si applicherebbe non solo ai nuovi assunti, ma anche ai lavoratori già in servizio che non hanno ancora conferito il TFR e che, qualora non volessero aderire, dovrebbero dichiararlo esplicitamente.

Infine, si sta studiando la possibilità di permettere ai lavoratori pubblici che hanno compiuto 65 anni e maturato 42 anni e 10 mesi di contributi di rimanere in servizio su base volontaria. Questa misura rientra nell’obiettivo di incentivare il prolungamento della vita lavorativa per garantire la continuità del know-how e un efficace passaggio di consegne nelle amministrazioni pubbliche.



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