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Frode fiscale ad ampio raggio: scatta anche nel caso di somministrazione irregolare di lavoro. Quando, cioè, si fa riferimento, in dichiarazione, a fatture riferite (solo formalmente) a un contratto di appalto di servizi che, di fatto, nasconde una somministrazione irregolare di manodopera. È quanto emerge dalla sentenza della Cassazione, terza sezione penale, n. 34407 del 12 settembre scorso, che ha chiarito che integra il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni soggettivamente inesistenti l’utilizzo di elementi passivi fittizi costituiti da fatture emesse da una società che, attraverso contratti simulati di appalto di servizi, abbia in realtà effettuato attività di intermediazione illegale di manodopera, stante la diversità tra il soggetto che ha effettuato la prestazione, ovvero i singoli lavoratori, e quello indicato in fattura.

Il caso. La vicenda in esame riguarda i reati di dichiarazione fraudolenta ed emissione di fatture per operazioni inesistenti di cui agli artt. 2 e 8 dlgs 74/2000, contestati per aver indicato, nelle dichiarazioni di una Spa, ai fini Iva e Ires, per diversi anni di imposta, elementi passivi fittizi, avvalendosi di fatture false emesse da numerose società cooperative, nonché per l’emissione di tali fatture; le condotte erano ritenute attribuibili al gestore di fatto sia della Spa sia delle società cooperative. Precisamente, la Spa, dopo aver stipulato contratti di appalto di servizi, aventi a oggetto logistica e distribuzione di merci, li avrebbe subappaltati a società cooperative da ritenere fittizie, al fine di far emettere, da queste ultime, fatture nei propri confronti relative, in realtà, al proprio costo del lavoro, e, quindi, a prestazioni non detraibili ai fini dell’Iva, così da riportarle in contabilità e operare illegittime detrazioni Iva, nonché deduzioni di costi superiori a quelli effettivi ai fini Ires. Le fatture illegittimamente utilizzate dalla Spa e alla stessa rilasciate dalle società cooperative, nel periodo attenzionato, avrebbero comportato un’ingente evasione di Iva e Ires, mentre le società cooperative non avevano presentato le dichiarazioni, o le avevano presentate infedeli, o comunque avevano omesso i versamenti dovuti sulla base delle stesse.

La difesa. Ricorrendo per Cassazione contro l’ordinanza applicativa di misura cautelare personale degli arresti domiciliari, si sosteneva come le società cooperative fossero imprese effettivamente esistenti e attive, che avevano peraltro interagito anche con altri soggetti diversi dalla Spa, e come fosse stata prodotta copiosa documentazione a dimostrazione dell’effettiva operatività delle società cooperative (per esempio contratti di noleggio delle attrezzature, pagamenti effettuati nei confronti dei manutentori e delle locatrici di tali attrezzature, certificati di regolarità contributiva, contratti relativi alle utenze; accertamenti fiscali e sentenze di giudici tributari escludenti l’interposizione fittizia o la simulazione soggettiva relativa). Si eccepiva, poi, che il Tribunale, per affermare la fittizietà delle cooperative, avesse erroneamente valorizzato un dato in sé irrilevante, quale l’esistenza di un’amministrazione di fatto unica per la Spa e queste ultime, osservando, al contrario, che il fenomeno di cosiddetta “eterodirezione” di un ente non implichi la fittizietà di quest’ultimo, laddove abbia una sua autonomia strutturale.

La natura delle prestazioni e l’inesistenza delle fatture. Nel pronunciarsi sul ricorso, la Cassazione ha evidenziato che le fatture utilizzate dalla Spa ed emesse verso la stessa dalle altre società, anch’esse di fatto controllate e gestite dal medesimo soggetto, erano state ritenute inesistenti perché relative a mera prestazione di manodopera. Premesso che il costo del lavoro non è soggetto a Iva, e, quindi, non può generare Iva a credito, la Spa si era aggiudicata appalti di servizi e poi aveva trasformato il costo del lavoro necessario per eseguire tali contratti in un costo per prestazioni di servizi fornite da altra impresa, stipulando contratti di subappalto con le altre ditte, sul presupposto della formale assunzione da parte di queste ultime dei lavoratori concretamente utilizzati; in questo modo, precisamente, il costo del lavoro, invece di essere per salari e stipendi ai dipendenti, come tale non soggetto a Iva, diventava per prestazioni di servizi fornite da terzi, come tale soggetto a Iva. Dunque, decisiva per l’inesistenza delle fatture non era la fittizietà delle ditte emittenti, bensì la effettiva natura delle prestazioni fornite da queste ditte e indicate nelle fatture, ovvero prestazioni di lavoro subordinato rese da persone assunte su decisione del reale gestore della Spa e utilizzate secondo le direttive del medesimo, e, perciò, attinenti non a prestazioni di servizi, ma a mera “somministrazione di lavoro”.

Requisiti del contratto di somministrazione. Proprio riguardo alla somministrazione di lavoro, la Cassazione ha inoltre fornito un puntuale approfondimento, ricordando che il contratto è nullo se non è stipulato in forma scritta e i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore (art. 38, comma 1, dlgs 81/2015). Inoltre, quando la somministrazione avviene al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli artt. 31, c. 1 e 2, 32 e 33, c. 1, lett. a), b), c) e d), del dlgs cit., il lavoratore può chiedere, anche soltanto nei confronti dell’utilizzatore, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della somministrazione. Con il chiarimento che, per esempio, l’art. 31 fissa rigorosi limiti quantitativi, perché, in linea generale, il numero dei lavoratori somministrati con contratto di lavoro a tempo indeterminato non può eccedere il venti per cento dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore, mentre il numero dei lavoratori somministrati con contratto di lavoro a tempo determinato non può eccedere il trenta per cento. L’art. 33, c. 1, poi, esige che il contratto di somministrazione di lavoro, oltre a essere stipulato in forma scritta, contenga l’indicazione: 1) dell’autorizzazione rilasciata al somministratore; 2) del numero dei lavoratori da somministrare; 3) di eventuali rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore e delle misure di prevenzione adottate; 4) della data di inizio e della durata prevista della somministrazione di lavoro.

La giurisprudenza di legittimità e la decisione della Suprema Corte. In ragione di questa disciplina, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza civile di legittimità, nel caso di somministrazione irregolare di manodopera schermata da un contratto di appalto di servizi, va escluso il diritto alla detrazione dei costi dei lavoratori per invalidità del titolo giuridico dal quale scaturiscono, non essendo configurabile prestazione dell’appaltatore imponibile ai fini Iva (cfr. Cass. civ, Sez. V, n. 34876/2021, n. 12807/2020, n. 31720/2018), e neppure ai fini Irap (cfr. Cass. civ, Sez. V, n. 7440/2022). Alla luce di quanto appena indicato, e rilevato che, secondo l’ordinanza impugnata, le società emittenti le fatture verso la Spa provvedevano a mera somministrazione di lavoro in maniera simulata, dietro lo schermo di un contratto di appalto di servizi, dovevano trovare applicazione i principi consolidati in tema di fatture per operazioni inesistenti. Come più volte precisato dalla giurisprudenza penale di legittimità richiamata dalla sentenza in esame, infatti, integra il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni soggettivamente inesistenti ai fini Iva l’utilizzo di elementi passivi fittizi costituiti da fatture emesse da una società che, attraverso contratti simulati di appalto di servizi, abbia in realtà effettuato attività di intermediazione illegale di manodopera, stante la diversità tra il soggetto che ha effettuato la prestazione, ovvero i singoli lavoratori, e quello indicato in fattura (Cass. pen., Sez. III, n. 11633/2022 e n. 20901/2020). E altra decisione ha aggiunto che integra il delitto di cui all’art. 2 dlgs 74/2000, l’utilizzazione, nella dichiarazione ai fini delle imposte dirette, di fatture formalmente riferite a un contratto di appalto di servizi, che costituisca di fatto lo schermo per occultare una somministrazione irregolare di manodopera, realizzata in violazione dei divieti di cui al dlgs 81/2015, trattandosi di fatture relative a un negozio giuridico apparente, diverso da quello realmente intercorso tra le parti, attinente a un’operazione implicante significative conseguenze di rilievo fiscale (Cass. pen., Sez. III, n. 45114/2022). Essendo stato anche dimostrato il fine di evasione perseguito attraverso le operazioni simulate, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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