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Manovra con i pagherò. Il contributo per le grandi imprese passa dall’Ires e da crediti di imposta posticipati #finsubito prestito immediato

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Se qualcuno dovrà pagare “che siano i banchieri e non gli operai”. Dal pratone di Pontida, dove la Lega è riunita per il suo classico appuntamento di inizio autunno, assume un contorno più definito il concetto evocato dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti: c’è una manovra da mettere a punto e ci saranno “sacrifici per tutti”. Le frasi dell’esponente leghista all’agenzia economico finanziaria Bloomberg avevano agitato la maggioranza, perché avevano dato l’impressione di aumenti generalizzati delle imposte per tutti gli italiani. Una palese contraddizione della postura anti-tasse del centrodestra.

Lo stesso titolare del dicastero di Via XX Settembre ha in parte corretto il tiro. Subito dopo l’intervista c’era stato un giro di smentite e precisazioni. “Oggi il ministro delle finanze e dell’economia non è un banchiere o professore, ma figlio di pescatore e un’operaia tessile. So distinguere chi fa sacrifici e chi li può fare”, ha però aggiunto Giorgetti da Pontida. Il leader del Carroccio, Matteo Salvini, ha rincarato la dose, operai no, banchieri si, saranno i secondi a doversi farsi carico di sforzi aggiuntivi e con loro chi ha guadagnato di più.

Tra bandiere con il leone di San Marco e Soli delle Alpi, il messaggio per solleticare militanti e simpatizzanti è stato chiaro. “Il nostro obiettivo è abbassare le tasse a lavoratori e partite Iva”, ha ripetuto Salvini.
Gli impegni sono i soliti. Conferma del taglio del cuneo fiscale per i redditi fino a 35mila euro, estensione della flat tax, l’aliquota al 15% per le partite Iva fino a 80mila euro, che con la prossima manovra si vorrebbe allargare, arrivando magari fino a 90mila euro. Promesse che richiedono risorse. La manovra dovrà essere fatta per almeno 15 miliardi di nuove entrate e tagli. E così se le fasce medio basse saranno i beneficiari, le grandi imprese sono quelle cui si guarda per incassare. Fuori dai toni della festa di partito, i componenti della maggioranza assicurano che ogni meccanismo sarà concordato. Banche, assicurazioni, difesa, logistica, operatori dell’energia, la lista di quanti andare a solleticare è lunga e riassunta dall’espressione “grandi imprese”. Le stesse che potrebbero vedersi cancellata qualche forma di bonus o dilatata la fruizione di alcune deduzioni.
Tirati in ballo a Pontida neppure fossero gli ottomani combattuti dalla Lega Santa del 1571, celebrata sul pratone, i banchieri si aspettano che l’intervento in manovra possa concretizzarsi nella diluizione delle imposte differite. Per il 2024 contano per 3,8 miliardi.  Per gli istituti si tratta di crediti d’imposta, la cui fruizione quindi verrebbe spalmata nel tempo (addirittura diciotto anni secondo alcune ipotesi). In pratica un ammortamento delle deduzioni nei primi anni che la rafforzano nei successivi e portano soldi in cassa subito. Tra le ipotesi anche quella di togliere alcune agevolazioni che agiscono proprio sull’Ires. Secondo l’ultima rapporto sulle tax expenditure soltanto legate all’imposta sui redditi d’impresa si tratta di circa 100 agevolazioni che nel 2025 ammontano a 13 miliardi di euro (molte delle quali però non rivolte alle grandi imprese). Una tale soluzione potrebbe essere applicata su diversi settori, dagli energetici ai finanziari, passando per le compagnie assicurative e per le società multiservizi.

Un veicolo per agire in tempi stretti è il decreto attuativo della delega fiscale che rivede Irpef e Ires. Approdato in cdm ad aprile per un primo esame non è ancora arrivato in Parlamento, il decreto si occupa di razionalizzare e semplificare i regimi di riallineamento dei valori fiscali a quelli contabili, inoltre interviene sulla base imponibile. Che l’Ires sia la via per muoversi lo ha fatto intendere il ministro Giorgetti stesso. Per giustificare un prossimo intervento ha fatto riferimento all’articolo 53 della Costituzione e all’indicazione che ognuno debba pagare la tasse in base al proprio reddito. Il ministro ha quindi ricordato la sentenza della Consulta che, pur bocciando la parte della tassazione extra sugli operatori dell’energia che toccava le accise, spiegava anche che “in via generale, per imposte finalizzate ad intercettare windfall profits, sarebbe certamente fisiologico fare riferimento ai dati dichiarati ai fini dell’imposta sui redditi delle società (IRES), dal momento che la maggiore ricchezza è facilmente riscontrabile in termini di surplus di utili conseguiti”.  Come dire, è lì che tocca andare.

Altre fonti di gettito arriveranno dai sussidi ambientalmente dannosi e dalla selva delle spese fiscali. Confindustria ha già individuato 51 misure delle quali le imprese possono anche fare a meno, con un risparmio di poco più di 700 milioni. La revisione dei sussidi ambientalmente dannosi punterà invece sull’allineamento delle accise di gasolio e benzina.   Le seconde scenderanno, ma le prime saliranno, con buona pace delle imprese dell’autotrasporto per le quali si tratterà di un esborso di 350 milioni l’anno. Un giochino che dovrebbe tradursi in un miliardo per le casse dello Stato.



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