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L’espressione conflitto di interessi è impronunciabile al governo. Ministri e sottosegretari trovano un comodo rifugio nella legge Frattini, che con le sue maglie larghe consente di fare un po’ come si vuole. Insomma, tutto è legittimo. Tuttavia, dalla Difesa con Guido Crosetto alla Salute fino al Lavoro con il duo Marina Elvira Calderone e Claudio Durigon non mancano situazioni dubbie.

Un esecutivo avvolto nelle ombre del conflitto di interessi, sebbene non in termini di legge, con casi che si estendono ai tecnici, ai collaboratori come Gaetano Caputi – capo di gabinetto di Giorgia Meloni – o al giornalista Raffaele Barberio arruolato tra i collaboratori del sottosegretario meloniano Alessio Butti. Di fronte al vuoto normativo, ormai ci si appiglia solo alle «ragioni di opportunità». L’incompatibilità non scatta.

Crosetto e Leonardo

Uno dei casi più rumorosi è stato ed è appunto quello di Crosetto, ministro della Difesa con trascorsi da presidente dell’Aiad, la Confindustria dell’aerospazio e della sicurezza. Per questo ruolo il co-fondatore di Fratelli d’Italia ha incassato, come consulente, centinaia di migliaia di euro da Leonardo, come raccontato in esclusiva da Domani. La vicenda ha scatenato le ire di Crosetto, che ha annunciato querele o cause civili verso chi sollevava la questione del conflitto di interessi.

Ma la notizia era vera e quindi il ministro ha optato per l’esposto in Procura con lo scopo di conoscere le fonti dei giornalisti che hanno portato a galla le ragioni di opportunità dello switch di un ex consulente di un’azienda che vende armamenti alla casella politica più vicina alla produzione di armi, quella del ministero della Difesa.

Certo, da un punto di vista pratico il dicastero non si occupa degli acquisti di sistemi d’arma, perché fa capo all’esercito. Ma qualcosa gli arriverà all’orecchio, anche solo per sbaglio.

Calderone di famiglia

Crosetto è comunque in buona compagnia a palazzo Chigi. La locuzione di conflitto di interessi è stata spesso associata alla ministra del Lavoro, Marina Elvira Calderone: prima della nomina governativa è stata per 17 anni presidente del Consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del lavoro. Un organismo in cui può considerarsi di casa. E ancora oggi lo è probabilmente: a capo del Consiglio dei consulenti del lavoro è stato eletto il compagno di vita della ministra, Rosario De Luca.

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Insomma, non è stato fatto granché per allontanare i sospetti e le polemiche. Nello stesso ministero, seppure con il ruolo di sottosegretario, c’è Claudio Durigon che è protagonista di una situazione diversa ma che innesca comunque un cortocircuito: ha acquistato una casa a prezzo molto conveniente dall’Ente nazionale di previdenza per gli addetti e per gli impiegati in agricoltura (Enpaia). E su questo ente è chiamato a svolgere un ruolo di vigilanza il ministero del Lavoro in cui il neo-vicesegretario della Lega è appunto sottosegretario.

Non si può non menzionare, poi, la ministra del Turismo, Daniela Santanchè, che si muove sul crinale per l’attività imprenditoriale svolta (prima dell’ingresso nel governo) tra le altre cose al Twiga, storico stabilimento balneare gestito con Flavio Briatore. Le ramificazioni di quote societarie, per quanto dismesse, mettono Santanchè sotto i riflettori ben oltre i suoi problemi con la giustizia.

La carica dei sottosegretari

Fin qui i casi più roboanti. La questione non riguarda comunque solo i ministri di primo piano. Un esempio lampante è il sottosegretario alla Salute, il meloniano Marcello Gemmato, che possiede quote della farmacia di famiglia, battendosi per garantire un ampliamento del perimetro di azione delle farmacie. La battaglia è iniziata con il disegno di legge Semplificazioni, incardinato alla Camera. A Domani ha spiegato che l’Anac ha dato il via libera.

L’Autorità anti corruzione non può fare altrimenti: deve esprimere pareri tenendo in considerazione la normativa vigente che prevede la compatibilità del doppio ruolo. A conferma che il problema è a monte: il vuoto normativo. Sono infatti archiviati i tempi in cui il conflitto di interessi era al centro del confronto politico. Una querelle che riportava inevitabilmente al nome di Silvio Berlusconi, imprenditore e leader politico, molto attento agli affari di famiglia.

La scomparsa dell’ex Cavaliere non ha cancellato il problema, ha solo fatto derubricare la questione, visto che gli eredi, in testa Marina e Pier Silvio Berlusconi, non hanno un ruolo politico. Si limitano ad avere un peso specifico notevole dentro Forza Italia.

Dalle parti della maggioranza, insomma, nessuno ha la benché minima intenzione di mettere mano a una normativa più stringente. In questa direzione è stata affossata la proposta di legge del Movimento 5 stelle, a prima firma di Giuseppe Conte, che voleva incardinare il percorso di un’ampia riforma. La destra ha spedito la palla in tribuna.

E si torna al punto di partenza, quello che – per esempio – consente a un altro meloniano, Maurizio Leo, viceministro all’Economia, di ricoprire due ruoli in commedia. Da un lato è il grande architetto della riforma fiscale – sta scrivendo tutti i decreti attuativi – e dall’altra risulta tuttora socio (con il 40 per cento di azioni) di Progetto impresa, società che si occupa di pubblicare libri in materia «fiscale, societario, legale e amministrativo». Le nuove leggi e la loro divulgazione è tutto home made, in casa Leo.

Dalle tasse all’informazione, il passo è breve quantomeno in termini di ragioni di opportunità. Il sottosegretario all’Editoria è infatti Alberto Barachini, una vita da giornalista Mediaset e ora figura chiave per il mondo dell’informazione, un settore in cui comunque l’azienda della famiglia Berlusconi ha voce in capitolo. Nei palazzi si racconta che Forza Italia abbia voluto piazzarlo in quella casella per blindare Mediaset.

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Incarichi tecnici

L’abitudine si estende poi ad altre figure, che non sono politiche nel governo. Ma che hanno comunque una funzione chiave all’interno dell’esecutivo. Basti pensare al capo di gabinetto di palazzo Chigi, Gaetano Caputi, che oltre ad affiancare la presidente del Consiglio Meloni è un collezionista di incarichi che non lo pongono comunque in una condizione di incompatibilità.

Ma sollevano i soliti dubbi sulle ragioni di opportunità. Caputi, come riferisce lui stesso sul portale della presidenza del Consiglio, è componente dell’organismo di vigilanza di Ismea (istituto che fa capo al ministero della Agricoltura), ma ha ricevuto una consulenza (da 50mila euro all’anno) con la società Notartel, impegnata nell’erogazione di servizi ai notai, e dalla Enasarco (l’incarico sarebbe in scadenza proprio in questi giorni, il 10 ottobre) e con Fondartigianato. Di questo passo diventa difficile anche tenere il conto.

Nell’ambito dei consulenti rientra la vicenda di Raffaele Barberio, a cui il sottosegretario all’Innovazione Butti nello scorso febbraio ha rinnovato una consulenza (fino a gennaio 2025) da 80mila euro all’anno. Lo stesso Barberi, già direttore della rivista online Key4biz, che spesso ha elogiato il sottosegretario per le sue iniziative.

In un clima del genere non sorprende che al vertice dell’Enit, che gestisce la macchina pubblica del turismo, ci sia Ivana Jelenic, socia di aziende che operano proprio nel comparto turistico. Ma che per la manager voluta da Santanchè non rappresentano un problema: per lei sono «inattive». Insomma, sono lontani anni luce i tempi in cui Meloni e i suoi sodali si scagliavano contro i conflitti di interessi altrui.

«Ogni giorno emerge un nuovo conflitto di interessi di un ministro, ma è l’intero governo (Renzi, ndr) ad essere in perenne conflitto di interessi», tuonava la leader di Fratelli d’Italia di fronte al caso Tempa Rossa dell’allora ministra Federica Guidi. Chissà cosa direbbe Meloni, versione opposizione, dei casi Crosetto, Calderone e Gemmato.

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