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Big data per governare l’agricoltura. Aiuteranno a investire. E finanziare #finsubito prestito immediato

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«Lancio due allarmi: uno regolatorio e uno fiscale. La tassazione sulle agro-energie va ripensata, perché rischia di vanificare gli sforzi delle imprese. E l’eccesso di norme, così come il carico burocratico, scoraggiano gli investimenti»: nel 2022, Annamaria Barrile è calata dall’industria dell’aerospazio fin sui campi agricoli (ha lavorato in Leonardo Finmeccanica). E oggi, da direttore generale di Confagricoltura, dimostra di conoscere il primario nei suoi solchi più profondi. Ha ben chiari i problemi che attanagliano il comparto: «La gestione del rischio non funziona», ammette: «Il sistema va ripensato». E coglie le sfide più strategiche per il settore, a partire dall’uso dei big data, vera miniera di informazioni per capire dove investire. E nuovo oracolo con cui cucire le strategie pubbliche di finanziamento.

Domanda. Che bilancio traccia del G7 agricolo di Siracusa e della presenza di Confagricoltura a DiviNazione, l’expo a latere nell’isola di Ortigia?

Risposta. Positivo, la celebrazione della centralità dell’agricoltura, alla presenza dei potenti del G7, con 300 espositori in una location suggestiva. Un successo di comparto e di pubblico. Noi abbiamo lavorato molto sui temi urgenti, siccità in primis. E abbiamo usato un linguaggio nuovo per raccontare un settore attrattivo: uno street artist ha raffigurato l’agricoltura come una donna con in mano un palmare. Vede, vengo dall’aerospazio e posso dire che questo settore è avanzatissimo. In Confagricoltura, ad esempio, ci siamo dotati di Hubfarm: una piattaforma tecnologica per la digitalizzazione in agricoltura, che consente all’imprenditore agricolo di affrontare la transizione ambientale e climatica.

D. Il Piano Mattei è stato al centro dell’evento. Che iniziative ha Confagri?
R.
Puntiamo sulla formazione, che curiamo per dipendenti, soci e operai dei nostri soci. È importante che si espanda geograficamente. Crediamo nella valenza di un percorso formativo nei paesi africani per una migliore sintonizzazione tra l’agrifood italiano ed europeo e la capacità africana di mano d’opera. Formeremo le persone in Africa. A breve, lanceremo un progetto pilota in Tunisia, che abbiamo già presentato al governo.

D. Perché la formazione?
R.
Più investiamo sui lavoratori più creiamo le premesse per una vera integrazione, che includa le famiglie, così da stabilizzarle a seguito di un patto condiviso sulle regole. Il piano Mattei può consolidare il rapporto tra lavoratori e imprese. Se il modello Tunisia funzionerà, lo scaleremo velocemente altrove. Il target sono i paesi della sponda sud del Mediterraneo. Ci sono dialoghi in corso con l’Egitto.

D. Ha toccato il tema siccità e al G7 avete avuto come ospite il ministro per la protezione civile e le politiche del mare, Nello Musumeci.

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R. Abbiamo parlato molto di climate change, causa delle tante criticità che si trovano ad affrontare gli imprenditori. Siamo portatori di una cultura che punta all’innovazione nei modelli produttivi; la accompagniamo in termini regolatori e sindacali. E oggi, per convivere col climate change non servono solo infrastrutture materiali, come gli acquedotti, che, per altro, perdono acqua a livelli inaccettabili. Servono anche infrastrutture immateriali, digitali.

D. Lo spieghi meglio.

R. Il digital divide è drammatico per le imprese agricole. Un vero limite. Hubfarm serve a questo: limita l’impatto della carenza digitale, perché consente una gestione accorta delle risorse naturali e chimiche, in base a modelli predittivi. Più questi si basano sui dati forniti da una vasta platea di imprese, più diventano uno strumento di decisione essenziale, tanto per il singolo imprenditore, quanto per il decisore pubblico. Che potrà, così, ritarare le politiche di incentivazione e modificare le strategie di coltivazione.

D. In sostanza, i big data per governare?

R. È la nostra scommessa come organizzazione: avere contezza scientifica, misurabile nei dati di realtà. E su di essa fondare le richieste di intervento politico. Così da veicolare le limitate risorse pubbliche su investimenti premianti a livello produttivo. Vede, la stagionalità in agricoltura è una sfida; la finestra di raccolta si riduce in alcuni casi anche a un paio di giorni.

D. Poi ci sono le polizze agricole per far fronte agli eventi avversi. Ma la gestione del rischio non funziona …
R.
Il modello attuale ha raggiunto i suoi limiti; va ripensato, ma in termini europei. Non può essere più tarato sul solo agricoltore o sul singolo paese. Serve un terzo pilastro nella nuova Politica agricola comune, dedicato alla gestione del rischio. Bisogna dotarsi di strumenti che ottimizzino l’uso delle risorse. Se non lo facciamo corriamo il rischio di una drammatica recessione produttiva.

D. Molto passa dalla mancata interazione tra le banche dati pubbliche e dalla mancata condivisione dei dati in mano ai privati.
R.
La condivisione e l’interconnessione tra banche dati è un tema chiave per la gestione del rischio, come per il caporalato e la lotta all’evasione fiscale.

D. C’è anche il problema delle assicurazioni che non vedono un mercato profittevole.
R.
La scarsa propensione ad assicurarsi nel Sud Italia ha reso più rischioso il modello di business delle compagnie. Se il capitale è basso perché si assicurano in pochi e il rischio è elevato per il meteo imprevedibile, l’alea esplode. Diverse compagnie sono andate in difficoltà, fino al punto da rendere la vita difficile a chi vuole assicurarsi e non può. O non vuole più, per il costo eccessivo dei premi.

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D. Che fare?

R. Abbiamo proposto la parziale regionalizzazione delle risorse per integrare le polizze incentivate. Ma occorre sfruttare meglio anche gli strumenti che l’Europa ci dà e non abbiamo usato abbastanza. Penso al prelievo forzoso del 3% delle risorse Pac per finanziare il sistema, il fondo Agricat intendo. Non è colpa di nessuno, ma il sistema non va e va ripensato.

D. Cosa si attende dalla nuova commissione Ue?

R. Che trovi il modo di conciliare tutela dell’ambiente e tenuta produttiva per la food security. Il cibo è uno strumento di difesa geopolitica come l’aerospazio e la difesa. La redditività d’impresa va sostenuta, assieme a produttività, transizione ambientale ed energetica. Non possiamo più accettare incentivi per tenere i terreni a riposo. L’Ue non puo fare il vaso di coccio tra Usa e Cina. Oggi possiamo accompagnare il vicepresidente Raffaele Fitto che tra le sue deleghe di spesa ha l’agricoltura. C’è un nuovo commissario vicino alla visione dei paesi del blocco centrale, che vogliono un’agricoltura di qualità al 100%. E siamo orgogliosi che il nostro presidente, Massimiliano Giansanti, sia stato eletto presidente del Copa. E’ un riconoscimento al suo lavoro e al sistema Italia che ci ha dato forte sostegno.

D. Uno degli asset del Pnrr sono gli aiuti alle agroenergie. Come va?

R. La rimodulazione del piano di ripresa e resilienza condotta da Fitto in qualità di ministro è stata di grande rilievo, pragmatica. Le agroenergie sono un cantiere promettente che enfatizza la valenza centrale dell’agricoltore nella transizione energetica. Generiamo energia verde che riduce i consumi di energia tradizionale e, attraverso le Comunità energetiche rinnovabili (Cer), possiamo far sistema con i borghi e far vivere le aree interne. Ma ci sono dei problemi.

D. Quali?

R. L’eccessiva burocrazia rende tutto molto complesso, anche quanto si cerca di farla semplice. E la stratificazione di norme sul comparto delle energie verdi non aiuta. Vanno riordinate le fonti che disciplinano la materia; serve una riflessione sulla tassazione perché gli interventi amministrativi dell’Agenzia delle entrate, o normativi come quelli sugli extraprofitti, generano insicurezza nel quadro normativo. E questo riduce la propensione all’investimento. Chi ha fatto biogas, ad esempio, oggi sconta una tassazione che rischia di vanificare quanto fatto in questi anni. Il Pnrr ci insegna che per cambiare modello agricolo serve una pianificazione pluriennale, che sfugga alle iniziative del singolo esecutivo. Lancio due allarmI: uno regolatorio e uno fiscale.

D. E con le malattie animali come la mettiamo?

R. Dobbiamo contenere la fauna selvatica. Di cinghiale si muore perché creano incidenti stradali e gli allevamenti vengono devastati dalla peste suina. I tabù ideologici non servono, ne va di mezzo la sicurezza delle persone e del sistema produttivo.

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