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di Giuseppe Augieri
Una delle regole base dell’economia, anche quella spicciola, è che le tasse – nel concreto – finiscono per pagarle gli ultimi della catena. Non a caso, in termini tecnici, si parla di “percussione fiscale”. In sintesi: “processo mediante il quale un’imposta colpisce il contribuente che per legge deve effettuare il versamento al fisco e che, per il consumatore finale, è senza possibilità di trasferire su soggetti terzi l’onere impositivo”.
Ovviamente, poiché l’esperienza è quella di Franklin Jones, la cosa viene oggi riproposta: e, come un anno fa, non solo dall’opposizione ma anche da qualcuno della maggioranza. Vedremo stavolta come andrà a finire. Su una cosa i poveri mortali, lontani dalle alchimie dell’economia finanziaria, dovrebbero riflettere. Secondo i proponenti, con questa tassazione extra – a mio parere illegittima – l’introito per lo stato ammonterebbe tra 661 milioni e 1,3 miliardi di euro. L’ABI apre ad un accordo “purché il provvedimento sia una tantum”. Grande operazione di marketing: “anche le banche hanno un cuore”. E, politicamente, grande grancassa: “quando l’opposizione incalza, il Governo è sconfitto”. Qualcuno saprebbe calcolare quanto ammonterebbe il maggior guadagno (non extra-profitto poi da tassare) delle banche aumentando, rispetto a quanto atteso, di pochi centesimi percentuali gli interessi dei mutui e dei prestiti? E questo qualcuno potrebbe giurare che – a fronte di un provvedimento una tantum – questo aumento non diventi non provvisorio?
A proposito, agli amanti della democrazia diretta, e sempre per fare chiarezza: la materia tributaria e di bilancio non è soggetta a referendum. Se si fa una cavolata, la si tiene e basta.
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