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Decreto… Lukaku, Forza Italia con Lotito e Galliani punta a reintrodurre la detassazione sugli stipendi dei calciatori impatriati #finsubito prestito immediato

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A cinque anni dal varo il Decreto Crescita, che venne pubblicato in Gazzetta ufficiale il 29 settembre 2019, rimane di grande attualità anche nel mondo dello sport, insieme alle sue proroghe. Tra le numerose misure previste vi era infatti la detassazione delle imposte per i lavoratori che trasferiscono la propria residenza in Italia, e questa – in seguito ad una iniziativa di Forza Italia in Senato – potrebbe tornare nella sfera di interesse delle società sportive italiane, con particolare attenzione al mondo del calcio, che a grande richiesta aveva chiesto la sua reintroduzione, dopo che era stata confermata l’estensione del beneficio anche ai non iscritti Aire per poterlo quindi applicare ai calciatori stranieri.

I vantaggi del decreto crescita per i club di calcio

La norma, in vigore tra l’inizio del 2020 e la fine del 2023, aveva consentito alle società italiane di ingaggiare diversi calciatori provenienti dall’estero, con la possibilità di proporre stipendi netti più allettanti a parità di stipendio lordo. Per chiarezza, qui, è bene dire che si è trattato di un beneficio che ha permesso di pagare qualche campione un po’ meglio e con meno tasse, risultando più concorrenziali rispetto ad altri mercati chiave come lo spagnolo o il tedesco, ma non certo di incrementare il numero di stranieri presenti nel nostro campionato. L’esterofilia della Serie A è conclamata da anni, e interessa campioni e bidoni senza soluzione di continuità, e quando quest’estate qualcuno ha voluto additare questo provvedimento come elemento tra quelli determinanti nella crisi della nostra nazionale, ben presto i fatti (e le statistiche) si sono incaricati di smentirlo senza possibilità di replica.

Il freno del governo Meloni

Tuttavia, dallo scorso anno, con la finanziaria 2023 del governo Meloni (che lo aveva ridotto dal 70 al 50% dell’Irpef, e ad un solo lustro anziché ad un potenziale cinque anni più altri cinque, per i cosiddetti cervelli in fuga) i club professionistici italiani non hanno più potuto avvalersi di questa tassazione agevolata valida per stipendi che superavano il milione di euro. Il beneficio è dunque rimasto intatto solo per quei tesserati che già ne stavano godendo in precedenza, come naturale che sia in questo tipo di norme di tipo fiscale che non possono essere modificate retroattivamente.

La proposta

A nove mesi dalla sua uscita di scena (dal primo gennaio, ovvero a partire dai contratti firmati nella finestra di calciomercato invernale 2024) una proposta di reintroduzione con proroga fino al 2027 per tutti (non solo per i campioni 0) è arrivata da Forza Italia, tra le cui file stanno tra gli altri l’amministratore delegato del Monza, Adriano Galliani e il presidente della Lazio, Claudio Lotito. La richiesta è stata inoltrata attraverso un emendamento al Decreto Omnibus. Originariamente prevista per il 24 settembre, la discussione al Senato è stata spostata al 30 di questo mese (lunedì prossimo) e dovrà avvenire prima della scadenza fissata per l’8 ottobre. Secondo il presidente dei senatori del PD, Francesco Boccia, il governo potrebbe ricorrere alla questione di fiducia per l’approvazione del decreto.

Attualmente il Decreto Crescita prevede vantaggi fiscali per i contratti di lavoratori impatriati che abbiano deciso di trasferire la loro residenza in Italia con l’impegno di risiedervi fiscalmente per almeno quattro anni. Chiaramente, visto il clima di incertezza che la scorsa finanziaria aveva fatto aleggiare intorno a questo benefit, in seguito alla sua revisione al ribasso che lasciava tra le altre cose preludere ad un progressivo abbandono, anche numerosi professionisti italiani attualmente attivi all’estero saranno interessati a sapere su quali basi possono pianificare il loro rientro in patria nel 2025 o negli anni a venire senza dover aspettare i chiari di luna di una finanziaria che non si preannuncia affatto facile. Per gli sportivi, con uno stipendio lordo superiore o pari al milione di euro, come detto, questa agevolazione si era fermata a quanti abbiano stipulato il contratto lavorativo entro il 31 dicembre 2023 e aveva come limite temporale minimo due anni. L’emendamento presentato da Forza Italia propone che questa agevolazione sia reintrodotta anche per loro e valga per tutti coloro che rispettino le predette condizioni, per gli anni fiscali 2025, 2026 e 2027.

Lo scenario

Sullo sfondo di questa iniziativa ci sono senza dubbio i legittimi (benché legati ad un settore non propriamente strategico per l’economia nazionale) interessi delle società di calcio. Il decreto nel gergo calcistico di chi si occupa di questioni economiche era stato ribattezzato “Decreto Lukaku”, perché venne considerato come una delle condizioni che permisero all’Inter di tesserare l’allora centravanti del Manchester United Romelu Lukaku, a condizioni vantaggiose che probabilmente in precedenza non avrebbe potuto permettersi. E la sua struttura ricalca grosso modo quella che in Spagna venne chiamata “Legge Beckham” ed agevolò la campagna del Real Madrid dei cosiddetti “galacticos”, calciatori di fama mondiale che all’inizio degli anni 2000 iniziarono a rafforzare il club castigliano prima del dominio degli ultimi 10 anni (con la vittoria di ben 5 Champions League), ma anche una serie di altre acquisizioni che misero la Liga spagnola in una posizione di vantaggio competitivo a livello europeo.

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Guardando invece altrove, non vi è dubbio che uno degli elementi attrattivi (forse l’unico ad onor del vero) del calcio turco sia la tassazione agevolata che viene riconosciuta sugli stipendi dei calciatori, che recentemente ha portato il Galatasaray ad accollarsi i 10 milioni annui di ingaggio di Victor Osimhen (ex Napoli) ma che in passato ha attratto molti 30enni e non solo, interessati a monetizzare gli ultimi anni di carriera. Al di là delle legittime mosse politiche che possono portare ad agevolazioni, insomma, i club calcistici (sportivi più in generale) hanno sempre il problema della loro competitività internazionale, in particolare europea. Perché se è vero che il tema è naturalmente comune a molte aziende, è altrettanto vero che quella sportiva è una competizione basata sugli eventi, che ti porta a un faccia a faccia con i tuoi competitor dove uno vince e uno perde per definizione, e non è quindi paragonabile alle classiche dinamiche aziendali.

E qui torna il discorso che facevamo su queste colonne nei giorni scorsi, quando parlando di nuova Champions League si rifletteva sulla necessità di rivedere il calcio europeo (e per estensione tutto lo sport) in senso unitario, con una competizione che superi le divisioni federali e magari un nuovo ambito del tutto inesplorato che omogeneizzi i trattamenti fiscali a cui i club devono rispondere. Fantascienza? Tutto ricade sotto il tema: quale Europa vogliamo? Una somma di stati o una vera unione? E fino a che punto la politica è pronta a spingersi in un settore, come quello sportivo, con grandi ricadute socio culturali anche sul senso di unitarietà che i cittadini percepiscono? Di certo questa idea di uniformità è migliore di quella propugnata dal Fair play finanziario, capace tutt’al più col proprio egualitarismo di cristallizzare i rapporti di forza tra club forti e deboli. Non sarà la soluzione di tutti i problemi, ma che questa ragione stia dentro il calderone di un nuovo ordine sportivo continentale è fuor di dubbio.

Del resto nelle ultime settimane anche la pallavolo, sport in cui l’Italia eccelle sia in campo maschile che femminile, i club (rappresentati da Massimo Righi, presidente della Lega italiana) hanno sollevato esattamente le stesse perplessità contro l’organizzazione federale che non riesce a valorizzare le specificità ed a far decollare un business che in alcune grandi metropoli europee necessita solo degli input decisivi per poter creare una Nba europea che porti questo sport a livelli di popolarità e business mai visti prima. Il volley potrebbe essere la prossima frontiera dopo il basket (con Milano e Bologna in Eurolega) e rugby (Benetton e Parma nella United rugby championship). Ognuno con le sue specificità, ma tutti verso un modello sportivo futuro che non si riconosce più nell’organizzazione corrente.





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