Il divieto di concedere i domiciliari, a chi nei 5 anni precedenti abbia commesso il reato di evasione, prevale sulla preclusione di applicare la misura cautelare detentiva anche se il giudice ritenga che, all’esito del giudizio, la pena irrogata in concreto non supererà i tre anni. Ma il divieto opera anche quando sia già intervenuta condanna inferiore a tale limite.
La Corte di cassazione penale – con la sentenza n. 35869/2024 – ha perciò respinto il ricorso dell’imputato che. all’esito dell’appello, era stato condannato a poco più di due anni per spaccio, derubricato in fattispecie di lieve entità dagli stessi giudici di secondo grado, ma si era comunque visto negare la detenzione domiciliare per aver commesso un precedente reato di evasione meno di 5 anni prima dell’ordinanza avversata ora in Cassazione e da questa confermata.
Il difensore sosteneva nel ricorso di legittimità che il divieto di concedere all’evaso la misura meno afflittiva fosse recessivo di fronte alla pena inflitta per fattispecie di lieve entità in misura inferiore ai tre anni.
Al contrario la Cassazione afferma che il divieto di concessione dei domiciliari, posto dal comma 5-bis dell’articolo 284 del Codice di procedura penale, supera per specialità l’altro opposto divieto recato dal comma 2-bis dell’articolo 275 dello stesso Codice, che non consente al giudice di applicare la misura cautelare coercitiva del carcere in caso di pena inferiore a 3 anni concretamente comminata o anche solo prevista con giudizio ex ante da parte del giudice.
Il divieto di concedere i domiciliari a chi si sia macchiato del reato di evasione nel quinquennio precedente è superabile solo se il giudice ritenga che il fatto sia di lieve entità e che la misura risulti comunque adeguata ed eseguibile correttamente da parte dell’imputato. In assenza di tale giudizio prognostico favorevole, fondato su lieve entità e adeguatezza della misura, il divieto è assoluto e non recede di fronte all’opposto divieto di stabilire la misura personale detentiva per pene inferiori ai tre anni.
Nel caso deciso nessuna prognosi favorevole poteva essere affermata dal giudice di appello sull’adeguatezza della misura cautelare degli arresti domiciliari – in prima battuta concessi – in quanto l’imputato era stato colto a spacciare cocaina dalla propria abitazione. Da cui l’inasprimento della cautela da arresti domiciliari a detenzione carceraria.
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