La condanna in primo grado, non definitiva, non è bastata: a bussare alla porta di Nadia e Bartolo, Carmine Di Felice è tornato di nuovo, e non una volta sola. E sempre per la stessa ragione, spillare quattrini. Operazione che, raccontano le indagini della squadra mobile della questura di Pescara, anche questa volta sarebbe perfettamente riuscita. È una storia amara quella ricostruita dagli agenti, coordinati dal dirigente Gianluca Di Frischia, una storia di affetti traditi e di sensibilità sfruttate.
La vicenda sembrava essersi chiusa, almeno nei fatti, nel marzo dello scorso anno, quando il giudice condannò a 2 anni e 6 mesi di reclusione Di Felice, accusato di circonvenzione di incapace, disponendo anche una provvisionale di 15mila euro a testa per i due raggirati. L’uomo, che oggi ha 41 anni, anche in quei mesi di processo, tra udienze, accuse e passaggi televisivi, non aveva smesso di circolare intorno alla coppia.
Nadia Baldacci e Bartolo Beninato sono due persone semplici, con disabilità, che vivono di una pensione di invalidità che, ogni mese, arriva sul conto corrente postale. E una ricca fetta di quel denaro, anche negli ultimi tre anni, è finita nelle tasche sbagliate, quelle di Di Felice appunto. Quando, al lavoro su altre situazioni, gli agenti della Mobile hanno intuito che la vicenda era tutt’altro che archiviata, si sono messi a lavorare rapidamente su una serie di riscontri. Hanno esaminato i conti correnti dell’uomo, verificando i movimenti e facendo attenzione soprattutto alla quantità e al numero dei prelievi: un’operazione di raffronto paziente che è andata indietro di tre anni. Poi hanno fatto ricorso alla strategia più antica dell’investigatore, il pedinamento: hanno accompagnato le vittime in tutti i loro movimenti studiando ancora una volta le abitudini e rendendosi conto che Di Felice loro lo incontravano ancora, come se fosse davvero un amico, una persona che aveva affetto per loro. E continuavano a consegnare denaro: nel corso di tre anni sono volati via oltre ventiseimila euro, 26.500 per l’esattezza, che per la coppia non sono certo pochi.
Di Felice, secondo l’accusa, avrebbe approfittato dello stato di infermità psichica della vittima per Messe insieme le prove sufficienti è arrivata l’informativa per la procura che ha chiesto ed ottenuto dal gip un’ordinanza di custodia cautelare che è stata eseguita nella mattinata di ieri. Resta da capire cosa racconterà Di Felice nel corso dell’interrogatorio di garanzia. Lui che, probabilmente, quell’uomo e quella donna era convinto di averli in pugno, per la loro condizione di debolezza e la loro sensibilità. Nella parte già passata in giudizio era accusato di aver portato via alla coppia circa ottantamila euro e nel “bottino”, raccontò Bartolo in udienza, c’erano anche le fedi e l’anello di fidanzamento di Nadia. E quei pegni d’amore lui li avrebbe tanto voluti avere indietro. Lo chiese al giudice, senza neanche tanti giri di parole. Nonostante questo, secondo gli investigatori, avrebbe continuato a pagare: preda facile a causa proprio della sua malattia che, spiegò la psicologa, lo rende altamente suggestionabile.
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