Il ministro dell’Economia alla Commissione europea: rispetteremo gli obiettivi. Il nodo delle coperture che devono essere strutturali
Stamattina con la revisione del livello del prodotto interno lordo dal 2021 in poi, comunicata dall’Istat, inizierà ad alzarsi un po’ della nebbia su cosa è possibile e cosa no nella legge di bilancio imminente. L’istituto statistico, quasi in simultanea con i suoi omologhi dell’intera Unione europea – ciascuno per il proprio Paese – farà sapere che il prodotto lordo dell’Italia viene ricalcolato al rialzo: circa venti miliardi in più nell’anno-base 2021 e nei seguenti, dunque è prevedibile che la Banca d’Italia tra circa un mese stimerà un debito pubblico un po’ più basso – rispetto al Pil – del 137,8% che per esempio il governo aveva indicato per il 2024 nell’ultimo Documento di economia e finanza.
Poco spazio per la correzione
Quel che cambia per la legge di bilancio, in particolare per la correzione sul 2025, è pochissimo. Forse qualche centinaia di milioni di euro in meno, al meglio, su un aggiustamento da circa venti miliardi. Subito dopo l’annuncio dell’Istat infatti i tecnici della Commissione europea rivedranno con i nuovi dati la loro «analisi di sostenibilità del debito» in proiezione futura. E poiché non variano né la dinamica di fondo del debito stesso, né il suo costo previsto in tassi d’interesse, né il potenziale di crescita del Paese, né l’aumento della popolazione in pensione o bisognosa di cure, la richiesta rivista da Bruxelles arriverà fra qualche giorno e sarà molto simile all’attuale: fino al 2031 circa 13 miliardi di riduzione «strutturale» del deficit all’anno – cioè al netto di una tantum e fattori passeggeri – e una spesa pubblica che, espressa in euro, deve salire di non più dell’1,6% all’anno.
Il nodo delle coperture
Il governo, attraverso il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, è stato chiaro con la Commissione: queste grandezze non sono in discussione e l’Italia le rispetterà, anche se non ha ancora comunicato granché a Bruxelles sul merito delle misure per riuscirci. Ma come non può arrivare un grande aiuto alla manovra dalla revisione del Pil (a dispetto delle voci circolate a Roma per settimane), altrettanto improbabile è che un vero contributo alla manovra venga da qualche forma di tassa sugli «extraprofitti» delle banche o altre grandi imprese. La ragione, ancora una volta, si trova nel rapporto con Bruxelles: le nuove regole europee richiedono coperture di bilancio «strutturali» – cioè ricorrenti negli anni – mentre una tassa sugli «extraprofitti» colpisce per definizione delle basi imponibili eccezionali. Dunque non necessariamente ricorrenti. Diverso sarebbe se il governo varasse nuove imposte permanenti su certe categorie di imprese. Ma, in quel caso, rischierebbe una stretta al credito se l’aumento della pressione fiscale riguarda le banche o ulteriori aumenti dei costi già alti dell’energia, se per esempio riguarda le società di rete.
Le risorse e i tagli di spesa
Il punto di fondo è che il governo deve finanziare in modo permanente 10,79 miliardi di taglio al cuneo fiscale (ai valori del 2024) più altre una tantum stimate dall’Ufficio parlamentare di bilancio per un costo totale dal 2025 di circa 21 miliardi. Ma altre strade per trovare coperture di bilancio che rispondano alle regole europee, almeno in parte, si profilano. L’aumento del gettito fiscale registrato quest’anno in parte è ricorrente, dunque «strutturale», perché deriva da un aumento dell’occupazione che sembra consolidato (su questo sono in corso analisi della Banca d’Italia). La transizione dal reddito di cittadinanza all’assegno di inclusione e al «contributo formazione lavoro» potrebbe far risparmiare due miliardi in più, rispetto ai due miliardi di risparmi già previsti. I tagli di spesa ulteriori a quelli già previsti e le riduzioni su alcuni incentivi fiscali, per esempio i bonus su seconde e terze case, dovrebbero liberare miliardi. Anche il concordato fiscale preventivo dovrebbe portare un contributo di almeno due o tre miliardi, benché si associ a un condono tombale sul passato di chi aderisce e di fatto si profili (anche) come un patto con alcuni grandi evasori per recuperare una quota frazionale di quanto dovrebbero, sollevandoli da ogni preoccupazione.
Le somme necessarie
Nel complesso il governo sembra oggi poter contare su una decina di miliardi di risorse strutturali per finanziare la manovra. In apparenza, si tratta di metà delle somme in teoria necessarie alla riconferma di tutte le misure di sgravio «una tantum» oggi in vigore. Nella realtà però almeno la prima parte della riduzione dell’Irpef fino a 35 mila euro è di fatto finanziata dalla cancellazione dell’Ace («Aiuto alla crescita economica»), lo sgravio agli imprenditori che rafforza l’azienda con capitale proprio. Resterebbero fuori per ora dunque solo gli sgravi minori e si vedrà se il governo rinuncerà ad alcuni di essi. Nel frattempo sembra essersi fermata ogni ipotesi di polizza obbligatoria sulla casa: gli assicuratori non sembrano affatto spingere in questa direzione.
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