diFrancesco Strippoli
La prima ipotesi era di far pagare le cure e la prevenzione del virus sinciziale solo ai residenti dal Lazio in giù. Poi la rivolta delle Regioni, con la Puglia in prima linea. E il ministero della Salute ha fatto marcia indietro
Ventiquattro ore e poi la marcia indietro. Il 18 settembre il ministero della Salute metteva a carico dei cittadini di mezza Italia – dal Lazio in giù – il costo dell’anticorpo monoclonale contro il virus respiratorio sinciziale: un nemico temibile che può causare gravissimi danni, anche mortali, ai neonati e ai bambini. Il 19 settembre il saggio ripensamento: le cure e la prevenzione del virus sinciziale sono a carico del sistema sanitario nazionale, in tutta Italia. Nel mezzo, tra una decisione e l’altra, la rivolta delle Regioni che avrebbero dovuto far pagare i propri cittadini: anche la Puglia si è fatta sentire.
La nota del dg del ministero che scatena la bufera
Tutto parte mercoledì con una nota del direttore generale del ministero della salute, Americo Cicchetti. Scrive alle Regioni riguardo l’anticorpo monoclonale Nirsevimab-Beyfortus, utilizzato contro il virus respiratorio sinciziale (una specie di vaccinazione per immunizzare i piccoli). Cicchetti annota che il Nirsevimab «non è incluso nel vigente Piano nazionale prevenzione vaccinale» ed è classificato tra i farmaci di classe C. Ossia deve pagare il cittadino.
Tuttavia, continua lo stesso dg, numerose Regioni hanno previsto la somministrazione dell’anticorpo «senza oneri per i pazienti». Cioè paga la Regione al posto del cittadino.
L’ipotesi: a pagamento per le Regioni in piano di rientro
Si può fare? Certo che si può: utilizzando i soldi del bilancio autonomo regionale e non le risorse del Fondo sanitario. Ma, continua Cicchetti, questa soluzione è impedita «alle Regioni in piano di rientro dal disavanzo sanitario». Ossia: Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Calabria, Puglia e Sicilia. Il ragionamento sotteso: queste regioni, alle prese con il deficit, non possono coprire con soldi propri prestazioni «extra Lea»: cioè fuori dai Livelli essenziali di assistenza. E il monoclonale, in classe C, è appunto un farmaco «extra Lea». Il principio è noto e la Puglia, in piano di rientro da molti anni, lo ha sperimentato già altre volte. L’effetto è chiaro: in alcune Regioni si paga una prestazione, in altre no.
La rivolta dei pugliesi
Il presidente della Federazione degli ordini dei medici, il barese Filippo Anelli, critica duramente il provvedimento ministeriale («alla faccia dell’articolo 32 della Costituzione», sulla tutela della salute). Interviene subito anche l’assessore regionale Raffaele Piemontese, prossimo ad assumere le redini della Sanità: «Abbiamo fatto arrivare un messaggio al ministero e per noi sarebbe vergognoso che si discriminasse tra i bambini italiani sulla base della residenza: è inaccettabile. Per la Puglia, poi, sarebbe una beffa essere vincolata ad un Piano di rientro sanitario, vecchio del 2010, dal quale sta uscendo».
«Per quanto si cerchi di negare – sottolineano i deputati pd Pagano, Lacarra e Stefanazzi – in Italia continuano ad esistere una sanità di serie A e una di serie B: e il ministero della Salute lo ha dimostrato per l’ennesima volta».
Furente il consigliere regionale Fabiano Amati: «Significa che i bambini pugliesi possono essere condannati alla terapia intensiva e pure alla morte, mentre i bambini lombardi possono essere salvati dal virus. Per fortuna in Puglia abbiamo una legge regionale, non osservata dal governo nazionale, che prevede la somministrazione gratuita dell’anticorpo monoclonale. Qualsiasi direttore di Asl che dovesse disattenderla, sarebbe da me denunciato».
Il farmaco spostato dalla fascia C alla A
Non ci sarà bisogno. Dopo la bufera, lo stesso dg Cicchetti comunica il proprio ripensamento «in considerazione dei possibili profili di iniquità territoriale». Arriva il chiarimento definitivo di Maria Rosaria Campitiello, capo dipartimento della Prevenzione del ministero: sono state avviate interlocuzioni con l’Aifa (agenzia per il farmaco) per spostare il Nirsevimab dalla classe «C» (a carico dei cittadini) alla classe «A», a carico del servizio sanitario. Così diventa un Lea: va garantito a tutti, in tutta Italia.
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