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Alzheimer, nel 2050 in Italia 2,3 milioni di malati #adessonews



Domani la Giornata mondiale dell'Alzheimer

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Domani la Giornata mondiale dell’Alzheimer – Imagoeconomica

Se un anziano, ricoverato in una Rsa, scopre di essere malato di Alzheimer, quella parte di retta che viene pagata dalla sua famiglia dev’essere versata dal Servizio sanitario nazionale. La titolarità del contributo alberghiero di un malato di demenza può sembrare una questione di lana caprina di fronte alla tragedia dell’Alzheimer ed invece nella XXXI Giornata Mondiale diventa un caso e stride con gli sforzi che si fanno per assicurare un presente e un futuro migliore a un milione e mezzo di italiani.

Tanti sono, secondo la Federazione Alzheimer Italia le persone con demenza nel nostro Paese. Sono destinate a diventare 2,3 milioni entro il 2050. Assisterli potrebbe avere costi proibitivi per la sanità pubblica, ma il paradosso è che i soldi non vengono neanche spesi. «Come intergruppo parlamentare sull’Alzheimer abbiamo lavorato lo scorso anno al rifinanziamento del fondo ad hoc sulle demenze, che ammonta a 34.9 milioni per il triennio 2024-2026» ha ricordato recentemente Beatrice Lorenzin (Pd). Il fondo ha il compito di finanziare le linee di azione previste dalle Regioni presenti nel Piano nazionale delle Demenze ma, come ha osservato Annarita Patriarca (Fi) «non tutte le regioni hanno speso le risorse messe a disposizione». Questi sono problemi che potremmo definire di ordinaria burocrazia, mentre il contenzioso sulle rette rischia di aprire una voragine nei conti pubblici. Lo sanno perfettamente i gestori delle Rsa: a pochissime sono riconosciuti i nuclei Alzheimer, strutture dove il ricovero è finanziato dal Ssn. Le altre, normalmente, assistono persone per le quali viene pagata una retta suddivisa tra Regioni (per la parte medico-assistenziale) e familiari (per la parte che viene definita “alberghiera”) e si ritrovano con ospiti che rivelano di esser malati di demenza in un secondo momento: da allora, la parte della retta a carico delle famiglie dovrebbe essere saldata dallo Stato, che ovviamente fa orecchie da mercante. Per questo Uneba, che rappresenta un migliaio di residenze sanitarie assistenziali, chiede chiarezza al governo e al Parlamento: il suo presidente, Franco Massi, parlerà di prestazioni necessarie e omogeneità di trattamento ai gruppi parlamentari. Uneba fa sapere a questo proposito che «ogni Regione ha le sue regole, diverse da quelle delle altre Regioni, sui requisiti delle strutture per anziani fragili, quanto personale ci deve lavorare, quanto paga la Regione per ciascun anziano accolto, quanto deve pagare ciascun ospite o chi lo rappresenta. Con un evidente aumento della complessità per chi opera nel settore. Le Rsa seguono la normativa regionale e non hanno nessun margine di decisione. Hanno, invece, la responsabilità dell’assistenza, come pure del proprio equilibrio economico. Non sono certo le strutture a scrivere leggi o sentenze per stabilire chi copre la spesa per l’accoglienza dei malati di Alzheimer. Uneba rifiuta però con decisione che i suoi enti vengano additati a responsabili o colpevoli dell’incertezza normativa o della mancanza di aiuti alle famiglie. Gli enti Uneba sono nati per dare assistenza alle persone fragili, e questa resta la loro stella polare».

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Il caso rette spegne l’entusiasmo per ciò che riescono a fare invece i medici e gli scienziati, ma soprattutto – quotidianamente – i caregiver. Un impegno celebrato da numerose iniziative. A Brescia, il Comune ha sottoscritto un protocollo con l’Associazione Alzheimer Uniti d’Italia e una serie di Fondazioni, tra cui L’Istituto di Ricerca a carattere scientifico Fatebenefratelli di Brescia, che è l’unico specializzato nelle demenze degli adulti. L’Irccs Fatebenefratelli è in prima linea nella ricerca su molecole e tecniche riabilitative (il centro per la memoria sta sperimentando le tecnologie più innovative) e ha denunciato gli ostacoli crescenti per questi malati e per coloro che le assistono: esclusione sociale e senso di abbandono che il caso delle rette può solo acuire, confermati dalla Federazione Alzheimer Italia e Alzheimer’s Disease International, che hanno appena lanciato un appello al Governo italiano affinché porti il tema della demenza al prossimo G7 Salute. Sul fronte scientifico ogni anno vengono annunciate nuove scoperte, ma purtroppo ancora nulla di risolutivo. La prevenzione resta dunque centrale. «Obesità, alcol, fumo e sedentarietà sono tutti fattori di rischio per l’Alzheimer su cui si può agire» ha detto recentemente Alessandro Padovani, presidente della Società Italiana di Neurologia. La prevenzione può ridurre del 40% il rischio e la mappatura è in corso. Lo fa lo studio ComfortAge, di cui l’Italia, con la Fondazione policlinico Gemelli, è leader della parte clinica.





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