Configura il reato di truffa aggravata l’omessa timbratura del cartellino marcatempo da parte del pubblico impiegato che si sia recato ripetutamente all’esterno dell’ufficio per la pausa caffè.
E’ quanto emerge dalla sentenza della Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione del 22 agosto 2024, n. 33015 (testo in calce).
Il caso vedeva un uomo, in qualità di direttore responsabile in servizio presso un Mercato Ortofrutticolo all’Ingrosso, trarre in inganno la pubblica amministrazione mediante artifici consistiti nell’utilizzo di badge presenza, in relazione all’effettiva durata della propria prestazione lavorativa giornaliera, inducendola in errore e conseguendo l’ingiusto profitto costituito dalla remunerazione per l’arco temporale in cui in realtà non si trovava in servizio.
In relazione al reato di cui all’art. 640, comma 2, n. 1, c.p., i giudici del merito confermavano la dichiarazione di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato e riformava la condanna dell’imputato per peculato (art. 314 c.p.), pronunciata perché, in qualità di direttore responsabile, in concorso morale con altro dipendente, concedeva ad una ditta privata, a titolo oneroso ed in violazione della disciplina comunale per la concessione dei magazzini, un magazzino-baracca riscuotendo il canone di locazione senza rilasciare ricevuta e trattenendo gli interi importi anziché versarli come dovuto.
Secondo gli ermellini, relativamente al reato di truffa aggravata, il mancato proscioglimento nel merito si giustifica nel fatto che l’imputato, nel recarsi al bar all’esterno dell’ufficio, non timbrava il cartellino, con l’effetto di non far risultare la pausa lavoro. Ciò in coerenza con la giurisprudenza dominante sul punto, secondo la quale, la falsa attestazione del pubblico dipendente relativa alla sua presenza in ufficio, riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli presenza, integra il reato di truffa aggravata ove il soggetto si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, sempre che questi ultimi siano economicamente apprezzabili e che, anche una indebita percezione di poche centinaia di euro, corrispondente alla porzione di retribuzione conseguita in difetto di prestazione lavorativa, costituisce un danno economicamente apprezzabile per l’amministrazione pubblica (Cass. Pen., Sez. V, 21 febbraio 2014, n. 8426; Cass. Pen., Sez. II, 4 aprile 2018, n. 14975).
In merito alla contestazione del reato di peculato, si evidenzia come la norma incriminatrice prevede quale presupposto della condotta, il possesso o comunque la disponibilità, in capo al soggetto attivo del reato, del denaro, sia esso della pubblica amministrazione o di un privato, in ragione della qualifica soggettiva pubblicistica del soggetto agente.
Detto requisito, secondo gli ermellini, non sussiste nel caso di specie dal momento che il ricorrente si facevano consegnare mensilmente il denaro, entrando solo per tale via nella relativa disponibilità. Il denaro percepito non poteva essere contabilizzato dall’ente, posto che non avrebbe potuto neanche astrattamente essere versato nelle casse del Comune, in quanto il contratto non era mai stato formalizzato, essendo il locale privo dell’agibilità.
A ben vedere, detta circostanza non può negare la “ragione di ufficio o di servizio” di cui all’art. 314 c.p., che non è solo quella rientrante nella specifica competenza funzionale dell’agente, potendo ipotizzarsi anche un esercizio di fatto o arbitrario di funzioni che permetta di maneggiare od avere la disponibilità materiale del bene, senza che rilevi per la consumazione il rispetto o meno delle disposizioni organizzative dell’ufficio, dovendosi escludere il reato solo quando il possesso sia meramente occasionale, ovvero dipendente da caso fortuito o legato al caso (Cass. Pen., Sez. VI, 20 marzo 2023, n. 11741).
Ma, a ben vedere, l’interversione del possesso richiede che al pubblico ufficiale il bene o il denaro siano pervenuti in virtù di un titolo legittimo; nel caso di specie, la mancata formalizzazione della locazione di un immobile non agibile appare tutt’altro che emblematica dell’avvenuta appropriazione del denaro.
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