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Rivoluzione green e disparità di genere nel report OECD #adessonews


Negli ultimi anni, la transizione ecologica ha portato a un significativo aumento della domanda di professioni tecniche e ambientali, legate alle nuove sfide della sostenibilità. Tuttavia, se da un lato questa rivoluzione «green» promette opportunità lavorative rilevanti, dall’altro persiste una grave problematica sociale: la disparità di genere (e generazionale).

L’Italia, infatti, non solo presenta uno dei divari salariali di genere più ampi tra i Paesi OCSE, ma vede ancora una forte sotto-rappresentanza femminile nelle professioni tecniche e scientifiche, compreso il settore ambientale e della sicurezza (HSE).

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Gli struzzi
Rivoluzione green e disparità di genere: la matematica e le opinioni
Il settore ambientale e le professioni green: nuove opportunità, vecchie disuguaglianze
Competenze, formazione, disparità di genere, qualità del lavoro e costi della rivoluzione green

Gli struzzi

No.
Non sto parlando degli “Struzzi” dell’omonima collana di una nota casa editrice torinese, che prende il nome dal simbolo, uno struzzo che morde un chiodo con il relativo motto latino “Spiritus durissima coquit”: lo spirito digerisce le cose più dure.

No.

Mi riferisco ad una certa tendenza – quasi un’arte – a fare lo struzzo, che connota la politica, alle varie latitudini, e una buona fetta di chi quella politica la mette sul piedistallo, meravigliandosi, tuttavia dei risultati: una tendenza difficile – impossibile – da digerire.

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Gli struzzi mi sono venuti in mente nel leggere l’ultimo report dell’OECD, “Education at a Glance”, nel quale emerge in tutta evidenza la conoscenza dei rischi (quello relativo alla mancanza di un titolo di studio adeguato e ai suoi corollari, ad esempio, così come la non considerazione a livello salariale delle donne), ma anche la scarsa propensione a intervenire.

Ci si culla sugli “ottimi risultati” dei mercati del lavoro dell’area OCSE, dimenticandosi che le crescita – questa crescita – si fonda su presupposti precari, e su dinamiche completamente da rivedere.

Rivoluzione green e disparità di genere: i dati del Report dell’OECD tra matematica e opinioni

Gli “ottimi numeri” fanno sì che prosperino le teorie ottimiste ed ottimistiche (le opinioni), che prefigurano un futuro radioso: salari in crescita, bassi tassi di disoccupazione, outlook positivo nel breve periodo, ammiccamenti politici al “chiunque ce la può fare” (detto altrimenti: anche chi non è laureato, in certi ambienti termine visto come fumo negli occhi).

L’outlook positivo: si prevede, si legge nella nota di accompagnamento che fornisce una panoramica della situazione del mercato del lavoro in Italia, che “il mercato del lavoro continuerà a crescere nei prossimi due anni: nonostante la riduzione della popolazione in età da lavoro, l’occupazione totale dovrebbe crescere dell’1,2% nel 2024 e dell’1% nel 2025”.

Epperò le opinioni devono scontrarsi con i fatti e i numeri (la matematica).

Vediamo i dati e i fatti che emergono dal Report dell’OECD.
L’OCSE sottolinea a più riprese che:

  • gli adulti senza titolo di scuola secondaria superiore corrono un rischio considerevole di ottenere scarsi risultati sociali e nel mercato del lavoro per tutta la vita”;
  • i lavoratori senza una qualifica secondaria superiore corrono il rischio di percepire salari molto bassi;
  • un ulteriore livello di istruzione protegge dal rischio di diventare NEET (Not [engaged] in Education, Employment or Training, lett. “Non [attivo] in istruzione, in lavoro o in formazione”, ovvero una persona che in un dato momento non studia, né lavora né riceve una formazione);
  • il milieu d’origine continua ad essere – anzi: è più che in passato – un fattore determinante nella crescita, non solo professionale, delle persone.
L’istruzione dei genitori ha un forte impatto sul livello di istruzione dei figli. In Italia, il 69% dei 25-64enni che hanno almeno un genitore con un titolo di studio universitario ha conseguito anche una qualifica universitaria e il 37% degli adulti i cui genitori non hanno un titolo di studio secondario superiore non ha conseguito a sua volta un titolo di studio secondario superiore.

Al contrario, solo il 52% di quelli con almeno un genitore con un titolo di scuola secondaria superiore o post-secondaria non terziaria e il 10% di quelli con genitori senza un titolo di scuola secondaria superiore hanno ottenuto essi stessi un titolo di studio terziario.

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La disparità di genere e generazionale, tuttavia, in Italia è un problema radicato: i numeri (la matematica!) non lasciano scampo.

Le giovani donne laureate guadagnano mediamente il 58% del salario dei loro colleghi maschi con pari istruzione, la differenza maggiore tra tutti i Paesi dell’OCSE. Anche tra le donne con istruzione secondaria superiore, il gap rimane significativo: esse guadagnano solo l’85% del salario dei colleghi uomini.

Secondo i dati OCSE, nel Bel Paese il divario salariale tra uomini e donne è tra i più elevati: la disparità salariale – si sottolinea – è solo un sintomo di una questione più profonda che riguarda l’accesso e la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro.

Il tasso di occupazione femminile in Italia è tra i più bassi d’Europa: solo il 36% delle donne senza diploma secondario superiore è occupato, rispetto al 72% degli uomini. Anche le donne con istruzione superiore trovano più difficoltà nel mercato del lavoro, con un tasso di occupazione del 73% rispetto al 75% degli uomini, un dato preoccupante se consideriamo il crescente livello di istruzione femminile.

Nonostante le donne, in Italia come in molti altri Paesi OCSE, secondo numerosi studi, ottengano risultati migliori rispetto agli uomini nel percorso educativo, la loro partecipazione e remunerazione nel mercato del lavoro rimane decisamente inferiore.

E nonostante i record recenti, “l’Italia – chiosa la nota – è ancora indietro rispetto a molti altri Paesi OCSE in termini di occupazione femminile e giovanile, dove sono necessari ulteriori progressi, anche per coprire il numero relativamente elevato di posti di lavoro vacanti”.

Questo è particolarmente evidente in settori tradizionalmente dominati dagli uomini, come quello delle professioni tecniche e delle scienze applicate, che includono anche molte professioni green-oriented legate alla transizione ecologica.

Il settore ambientale e le professioni green: nuove opportunità, vecchie disuguaglianze

Il settore delle professioni green-oriented è in piena crescita.

Le sfide legate ai cambiamenti climatici, alla gestione delle risorse naturali e alla sostenibilità richiedono competenze specializzate, e aprono nuove opportunità di lavoro per ingegneri ambientali, esperti in sostenibilità e professionisti del settore HSE (Health, Safety, Environment).

Gli ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni stabiliti dai diversi Paesi OCSE avranno un effetto marginale sul numero totale di occupati. Tuttavia, alcuni posti di lavoro scompariranno, mentre nuove opportunità emergeranno e molti posti di lavoro esistenti si trasformeranno. In tutta l’OCSE, il 20% della forza lavoro è impiegata in professioni “green-driven”, cioè professioni che contribuiscono direttamente alla riduzione delle emissioni, ma anche professioni di supporto alle attività verdi e che sono necessarie alla transizione. Circa il 7%, invece, è occupato in industrie ad alta intensità di emissioni di gas serra.

Tuttavia, l’occupazione femminile in questo settore rimane bassa, riflettendo la generale sotto-rappresentanza delle donne nelle discipline STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica).

Secondo i dati OCSE, solo il 21% delle donne italiane che accedono all’università sceglie percorsi di studio legati alle scienze e all’ingegneria.

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Questo squilibrio si riflette inevitabilmente nella forza lavoro. Le donne sono meno presenti nelle professioni tecniche e scientifiche, come quelle green-oriented, e, anche quando vi partecipano, guadagnano meno rispetto ai colleghi uomini, soprattutto nelle posizioni di leadership: poche donne raggiungono ruoli dirigenziali nel settore delle professioni green, e quando lo fanno, vengono spesso retribuite meno rispetto ai colleghi uomini.

Competenze, formazione, disparità di genere, qualità del lavoro e costi della rivoluzione green

Le occupazioni ad alta intensità di emissioni e quelle “green-driven” altamente qualificate sono simili nei requisiti di competenze: questo significa che “i lavoratori altamente qualificati possono passare da professioni in industrie ad alta intensità di emissioni a professioni che contribuiscono alla neutralità climatica con un sforzo di riqualificazione relativamente basso”.

Tuttavia – si sottolinea nella citata nota – “questo non è il caso dei lavoratori meno qualificati, che avranno bisogno di un maggiore sforzo di riqualificazione per uscire dalle occupazioni ad alta intensità di emissioni”.

Peccato che, ad oggi, il tasso di partecipazione in programmi di formazione dei lavoratori in Italia rimane basso e i lavoratori che svolgono occupazioni ad alta intensità di emissioni tendono a ricevere una formazione significativamente inferiore rispetto agli altri lavoratori.

Tutto ciò influisce sulla qualità del lavoro: i lavori “green-driven” a bassa qualifica tendono ad avere salari e una protezione nel mercato del lavoro significativamente più bassi rispetto ad altri lavori a bassa qualifica.

In sostanza: al momento, “le occupazioni «green-driven» a bassa qualifica rappresentano un’opzione relativamente poco attraente per i lavoratori a bassa qualifica”, ma non sembra esserci la passione per il miglioramento, la consapevolezza che occorre formarsi continuamente o la volontà di cominciare a fare qualcosa di serio.

Si preferisce continuare a far gli struzzi: con la testa sotto la sabbia, ma con il resto del corpo esposto ai quattro venti…



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