In assenza di ciò, a nulla rileva che il titolare dell’esercizio commerciale possieda la licenza di cui all’art. 86 del TULPS, né che sia iscritto all’elenco di cui alla Legge n. 220/2010.
Questi, in estrema sintesi, i principi affermati dalla Seconda Sezione civile della Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 17743/2024 (testo in calce).
Richiamando l’indirizzo giurisprudenziale sul tema, la Corte ribadisce altresì che “in tema di illecito amministrativo, ai sensi dell’art. 3 della Legge n. 689 del 1981, ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa, mentre l’errore sul fatto esclude la responsabilità dell’agente solo quando non è determinato da sua colpa.”
L’installazione degli apparecchi da gioco, nella convinzione del possesso di una licenza idonea da parte dell’esercente, non è quindi scusabile: l’”error iuris” rileva infatti solo quando l’ignoranza del precetto violato è inevitabile, alla luce della conoscenza e dell’obbligo di conoscenza delle leggi gravante sull’agente, anche in relazione alla sua qualità professionale e quindi al suo dovere di informazione e interpretazione delle norme specifiche che ne disciplinano l’attività.
Il caso
L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli eseguiva una verifica ispettiva presso un esercizio commerciale, in cui si svolgeva attività di raccolta di scommesse senza la prescritta licenza di cui all’art. 88 del TULPS, per conto di un bookmaker estero privo di concessione.
Qui accertava la presenza di cinque videoterminali da intrattenimento, installati nel locale e gestiti da una S.r.l., in base alla licenza di cui all’art. 86 del predetto Testo Unico.
L’Agenzia contestava alla società e al legale rappresentante la violazione prevista e sanzionata dall’art. 110, co. 9 lett. f-bis del TULPS, ossia l’installazione o uso di apparecchi e congegni in luoghi pubblici o aperti al pubblico senza le prescritte autorizzazioni.
Al verbale di constatazione faceva seguito l’ordinanza ingiunzione irrogativa della sanzione pecuniaria, impugnata dinanzi al Tribunale di Cosenza che tuttavia rigettava il ricorso.
La pronuncia del Tribunale veniva confermata anche in appello e impugnata dalla S.r.l. con ricorso per cassazione.
Il ricorso per cassazione
Tra i motivi di doglianza, il legale rappresentante della società eccepiva che il titolare dell’esercizio commerciale in cui aveva installato gli apparecchi disponeva della licenza di cui all’art. 86 TULPS.
Quest’ultima era infatti, a suo dire, sufficiente, non occorrendo anche quella prevista all’art. 88 del TULPS, come richiesto invece dalla Corte d’Appello.
L’esercente risultava inoltre iscritto all’elenco di cui all’art. 1, comma 82 della legge 220/2010, dei soggetti possessori o detentori di apparecchi da gioco, per cui, secondo l’installatore, sussisteva un titolo autorizzativo valido e definitivo per consentirgli di collocare gli apparecchi.
Anzi, la Corte di Appello avrebbe dovuto tener conto della sua buona fede, avendo proceduto all’installazione proprio in forza della “copertura normativa” data dall’iscrizione dell’esercente al predetto elenco.
Apparecchi da gioco e licenza ex art. 88 TULPS
La Cassazione respinge tuttavia il ricorso, ritenendo infondati tutti i motivi.
I giudici richiamano la giurisprudenza di legittimità, concorde nel ritenere che i soggetti atti all’esercizio di scommesse possono detenere gli apparecchi oggetto di causa solo in presenza della licenza di polizia di cui all’art. 88 del TULPS (si vedano, tra le tante, Cass. Sez. II n. 7855/2022 e la recente, Cass. n. 5127/2024).
La finalità per cui è imposta tale licenza è infatti quella di impedire l’utilizzo dei predetti apparecchi in luoghi non sottoposti ai prescritti controlli di polizia, ritenendo che il loro uso in locali destinati anche alla raccolta di scommesse ne aumenti l’intrinseca pericolosità sociale.
In assenza di tale licenza, a nulla rileva che il titolare dell’esercizio commerciale disponga di quella di cui all’art. 86 del TULPS.
Parimenti infondata è la tesi del ricorrente secondo cui l’iscrizione nell’elenco di cui alla legge 220/2010 sarebbe titolo autorizzativo definitivo per l’installazione degli apparecchi da gioco di cui all’art. 110, co. 6 lett. a) TULPS.
Il decreto direttoriale 9 settembre 2011 ha infatti previsto che per ottenere l’iscrizione nell’elenco occorre il possesso della licenza di cui all’art. 86 o di quella dell’art. 88 del citato Testo Unico.
L’iscrizione nell’elenco – conclude la Corte – presuppone e non sostituisce quindi le licenze che, come già detto, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, sono richieste cumulativamente per l’installazione degli apparecchi da gioco, nei locali dediti all’esercizio di scommesse.
Illecito amministrativo, error iuris e buona fede
Quanto all’asserita buona fede del ricorrente, di cui la Corte avrebbe dovuto tener conto, gli Ermellini ricordano che “in tema di illecito amministrativo, ai sensi dell’art. 3 della legge n. 689 del 1981, ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa, mentre l’errore sul fatto esclude la responsabilità dell’agente solo quando non è determinato da sua colpa.”
La norma limita quindi la rilevanza della causa di esclusione alle sole ipotesi in cui l’errore sul fatto è dovuto a caso fortuito o forza maggiore, mentre l’ “error iuris” rileva solo quando l’ignoranza del precetto violato è inevitabile.
Una valutazione, quest’ultima, da effettuare alla luce della conoscenza e dell’obbligo di conoscenza delle leggi gravante sull’agente, anche in relazione alla qualità professionale posseduta e al suo dovere di informazione e interpretazione delle norme che ne disciplinano l’attività.
Conclusioni
Nel caso di specie, concludono i giudici, di fronte alla chiara lettera del decreto direttoriale 9 settembre 2011, secondo cui l’iscrizione nel ricordato elenco presuppone il possesso, da parte del richiedente, della licenza dell’art. 86 TULPS o in alternativa di quella di cui all’art. 88 del medesimo Testo Unico, la Corte d’Appello ha correttamente negato rilevanza alla verifica dell’avvenuta iscrizione, non garantendo ciò il possesso della seconda licenza.
Peraltro – conclude la Corte – il ricorrente non ha neppure mai dedotto di non esser stato in grado di assolvere all’obbligo di conoscere o apprezzare il senso dell’art. 1, comma 82 della L. 220/2010 e del decreto direttoriale.
Sulla scia di tali considerazioni il ricorso è stato quindi rigettato, con spese a carico del soccombente.
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