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Edificio incompiuto per decadenza del titolo: equivale a un abuso #adessonews


L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, nella sentenza n. 14 del 30 luglio 2024, risponde al quesito posto dalla Sezione remittente “quale sia la disciplina giuridica applicabile alle opere parzialmente eseguite in virtù di un titolo edilizio decaduto e che non siano state oggetto di intervento di completamento in virtù di un nuovo titolo edilizio“, indicando i criteri a cui fare riferimento, in generale, sul tema in esame: le norme da applicare a un edificio incompiuto.

Come agire in presenza di un edificio incompiuto

Ecco i criteri che ne sono scaturiti:

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  • in caso di realizzazione, prima della decadenza del permesso di costruire, di opere non completate, occorre distinguere a seconda se le opere incomplete siano autonome e funzionali oppure no;
  • nel caso di costruzioni prive dei suddetti requisiti di autonomia e funzionalità, il Comune deve disporne la demolizione e la riduzione in pristino ai sensi dell’art. 31 del dpr n. 380/2001 (Testo unico edilizia, Tue), in quanto eseguite in totale difformità rispetto al permesso di costruire;
  • qualora il permesso di costruire abbia previsto la realizzazione di una pluralità di costruzioni funzionalmente autonome (ad esempio villette) che siano rispondenti al permesso di costruire considerando il titolo edificatorio in modo frazionato, gli immobili edificati – ferma restando l’esigenza di verificare se siano state realizzate le opere di urbanizzazione e ferma restando la necessità che esse siano comunque realizzate – devono intendersi supportati da un titolo idoneo, anche se i manufatti realizzati non siano totalmente completati, ma – in quanto caratterizzati da tutti gli elementi costitutivi ed essenziali – necessitino solo di opere minori che non richiedono il rilascio di un nuovo permesso di costruire;
  • qualora invece, le opere incomplete, ma funzionalmente autonome, presentino difformità non qualificabili come gravi, l’Amministrazione potrà adottare la sanzione recata dall’art. 34 Tue;
  • è fatta salva la possibilità per la parte interessata, ove ne sussistano tutti i presupposti, di ottenere un titolo che consenta di conservare l’esistente e di chiedere l’accertamento di conformità ex art. 36 Tue nel caso di opere “minori” (quanto a perimetro, volumi, altezze) rispetto a quelle assentite, in modo da dotare il manufatto – di per sé funzionale e fruibile – di un titolo idoneo, quanto alla sua regolarità urbanistica.

Edificio incompiuto, è abuso edilizio? Il caso

La sentenza dell’Adunanza plenaria interviene in relazione al caso sorto in seguito a un contratto preliminare di compravendita del diritto di superficie al di sotto del suolo, su terreno ricadente in zona omogenea B6 “residenziale satura”, in area assoggettata a vincolo paesaggistico e zona sismica di grado 6, la cui efficacia era subordinata “al rilascio, a nome della parte promissaria acquirente entro un dato termine, da parte del Comune, del permesso o autorizzazione della Dia a realizzare boxes garages interrati“.

In base a tale scrittura privata e ad una procura speciale, una società aveva ottenuto il permesso di costruire per la realizzazione di un’autorimessa interrata. In seguito, i commissari ad acta che avevano rilasciato il permesso di costruire e del rappresentante legale della società erano stati condannati penalmente per “la assoluta e macroscopica illegittimità del permesso a costruire in violazione del P.U.T., del P.R.G., del P.U.C. e del regolamento comunale di attuazione“.

Il Comune interessato ha quindi notificato al proprietario del fondo e all’impresa esecutrice il provvedimento di presa d’atto della decadenza del permesso di costruire, per lo spirare del termine di ultimazione dei lavori.
La società ha quindi sottoposto al Comune un nuovo progetto relativo alla realizzazione di un’attrezzatura di interesse pubblico in regime di convenzione urbanistica, da realizzarsi sull’area in questione, comprensivo di lavori di parziale ripristino dell’area. Il Comune ha respinto l’istanza e ordinato il ripristino dello stato dei luoghi per come risultante in via antecedente all’esecuzione delle opere parzialmente eseguite, risultando l’edificio incompiuto e il permesso di costruire decaduto.

Il ricorso

Tale provvedimento è stato impugnato dalla società con un ricorso innanzi al Tar per la Campania, che lo ha respinto, ritenendo che, quando i lavori edilizi non sono stati ultimati, in linea di principio la decadenza del permesso di costruire riguarda per intero i suoi effetti, salvo il caso in cui sia consentito “ultimare” l’edificio. L’ammettere che a seguito della decadenza possa in ogni caso restare in loco l’edificio incompiuto significherebbe riconoscere che il titolare del permesso di costruire avrebbe il “diritto di non completare l’opera” e di lasciarla incompiuta e funzionalmente non autonoma, con ingiustificato deturpamento del contesto circostante.

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Il Tar Campania ha rilevato inoltre che le opere realizzate in esecuzione del permesso poi decaduto risultino sicuramente incompatibili con la disciplina giuridica dell’area e comunque neppure siano conformi a quelle formalmente assentite. Avverso tale sentenza hanno proposto separati appelli il proprietario dell’area e la società esecutrice dei lavori.

Efficacia e decadenza del permesso di costruire

La sentenza dell’Adunanza plenaria si limita ad affermare dei principi di carattere generale, partendo dall’art. 15 Tue, che prevede l’efficacia temporale del titolo e la sua decadenza qualora le opere non siano state ultimate entro il termine ivi previsto (3 anni), prorogabile. In caso di decadenza, l’interessato può richiedere un nuovo permesso di costruire per il completamento delle opere, che devono essere compatibili con la disciplina urbanistica vigente al momento del suo rilascio.

L’efficacia del permesso di costruire decade, infatti, con l’entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche. Nondimeno, il comma 4 dell’art. 15 ha introdotto una deroga al principio di decadenza, nel caso dei lavori assentiti dal permesso di costruire, già cominciati e completati entro il termine di tre anni dalla data del loro inizio. Il legislatore ha operato così un bilanciamento tra la tutela dell’affidamento del privato al completamento dell’opera in fase di realizzazione sulla base di un permesso di costruire, il principio di conservazione e quello di proporzionalità, al fine di evitare la distruzione di ricchezza conseguente all’abbandono di progetti in avanzato stato di attuazione, conservando, comunque, la vigilanza sull’attività di edificazione attraverso la previsione del limite temporale triennale, pari a quello di durata dell’efficacia del permesso di costruire.

L’edificio incompiuto e i principi di conservazione e affidamento

Ai principi di conservazione e di affidamento si ispirano anche gli artt. 36 e 38 del testo unico, il primo dei quali (sull’accertamento di conformità) prevede la possibilità – nei limiti ivi contemplati – di sanare gli abusi purché “l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda“. Il secondo invece consente, in taluni casi, la conservazione dell’immobile realizzato sulla base di un titolo edilizio successivamente annullato, prevedendo in luogo della demolizione la sanzione pecuniaria.

Il permesso di costruire non abilita il titolare a realizzare qualunque manufatto, ma gli consente l’edificazione di quello specifico fabbricato descritto nel progetto (quanto all’area di sedime, al perimetro, alla sagoma, ai volumi, alle altezze, ecc.). Qualunque realizzazione dell’edificio difforme dal progetto, anche se sia ridotta la volumetria o ne siano modificati il perimetro, le sagome e le altezze, comporta una “divergenza tra consentito e realizzato” che in quanto tale – affinché vi sia la “regolarità urbanistica” – o deve essere previamente autorizzata dal Comune o necessita di un atto di “accertamento di conformità”, qualora questo sia consentito dall’ordinamento. L’edificazione deve quindi avvenire nel rigoroso rispetto del principio di conformità tra l’opera risultante dal progetto assentito con il permesso di costruire e quella concretamente realizzata.

La totale difformità dell’opera realizzata

La “totale difformità” si verifica non solo in caso di ampliamento non autorizzato, ma anche nel caso di mancato completamento della costruzione (e quindi nel caso in cui l’edificio resti incompiuto). Il permesso di costruire consente di realizzare solo l’opera descritta nel progetto e avente caratteristiche fisiche e funzionali ben determinate: l’abuso per totale difformità sussiste nel caso di realizzazione di “un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche e planivolumetriche“.

Ciò è ravvisabile quando il manufatto sia stato parzialmente edificato con il cd. “scheletro” e anche quando sia oggettivamente diverso rispetto a quello progettato, dovendosi un’opera qualificare abusiva per totale difformità ogni qual volta il risultato finale consista in una struttura che non è riferibile a quella assentita.

Nei casi di “divergenza tra consentito e realizzato” rientra il “non finito architettonico“, il quale è ravvisabile quando le opere realizzate sono incomplete strutturalmente e funzionalmente, tanto da far individuare un manufatto diverso da quello autorizzato, oppure quando vi è stata la modifica dello stato dei luoghi con la realizzazione di un quid che neppure consenta di ravvisare un “volume”.

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Qualora siano state eseguite solo opere parziali, non riconducibili al progetto approvato sotto il profilo strutturale e funzionale, che non possono essere completate in quanto non può essere rilasciato un nuovo permesso di costruire, il mancato completamento – e cioè la cd. opera incompiuta – comporta di per sé un degrado ambientale e paesaggistico. Non tutto quanto è stato lecitamente realizzato può dunque essere mantenuto in loco: va rimosso quanto è stato realizzato, in difformità, anche minima, da quanto è stato assentito.

La divergenza tra consentito e realizzato

Una “costruzione” è ravvisabile, per la giurisprudenza consolidata, ogni qualvolta “l’intervento edilizio produca un effettivo e rilevante impatto sul territorio e, dunque, in relazione alle opere di qualsiasi genere con cui si operi nel suolo e sul suolo, se idonee a modificare lo stato dei luoghi determinandone una significativa trasformazione”.
La giurisprudenza ha chiarito che anche la realizzazione di muri di cinta o di contenimento di ragguardevoli dimensioni – così come anche l’attività di movimento di terra che modifichi la conformazione dei luoghi – è soggetta al rilascio del permesso di costruire. Occorre il rilascio del permesso per le opere di qualsiasi genere che modifichino il suolo e lo stato dei luoghi, determinandone una significativa trasformazione, pur quando si tratti di movimento terra, in assenza di volumi e per realizzare una strada.

La “divergenza tra consentito e realizzato” sussiste, dunque, non solo quando “si costruisce in più del consentito“, ma anche quando vi è il cd. “incompleto architettonico“, configurabile sotto il profilo temporale qualora vi sia stata la decadenza del permesso di costruire, secondo le regole generali, e non sia possibile ottenere un nuovo titolo abilitativo, ovvero l’interessato non lo richieda.

Quando si configura un “incompleto architettonico”

Tale divergenza è configurabile quando vi è la realizzazione parziale di un complesso intervento edificatorio autorizzato (ad es. una sola costruzione autonoma e scindibile al posto di plurime costruzioni), quando i lavori si siano fermati prima dell’ultimazione del manufatto (durante la fase degli scavi o dopo la realizzazione anche parziale del solo “scheletro”, senza la copertura, le scale, i solai, il tetto o la tamponatura esterna).

Quando l’edificio incompiuto non ha tali caratteristiche e si riduce, ad esempio, alla realizzazione dei soli pali di fondazione, allo scavo del terreno, alla costruzione di pilastri o della struttura in cemento armato senza la tamponatura (cd. scheletro), si tratta di un’opera riconducibile alla totale difformità dal permesso di costruire, in quanto di certo non può essere rilasciato il titolo abilitativo per la realizzazione di un manufatto privo di una autonoma finalità.

Tale manufatto, per le proprie caratteristiche di grave incompletezza non superabile mediante il rilascio di un ulteriore permesso di costruire se richiesto, costituisce anche causa di degrado dell’ambiente circostante. La riduzione in pristino dell’area deturpata dall’intervento edilizio cominciato, che non può essere terminato, è necessaria per ripristinare lo stato dei luoghi: se il proprietario decide di abbandonare i lavori, e comunque quando i lavori rimangono incompiuti, l’ordinamento non consente che vi sia il nocumento alle finalità perseguite in sede di pianificazione territoriale ed esige il rispetto della pianificazione urbanistica e, dunque, del principio per il quale le modifiche dello stato dei luoghi risultano lecite solo se vi è la coincidenza tra quanto è stato assentito e quanto è stato realizzato.

Opere parziali autonome, scindibili e funzionali

Più variegate possono essere le misure adottabili dal Comune in caso di opere parziali autonome, scindibili e funzionali. Possono valere in questi casi i principi di proporzionalità e di conservazione. Deve ritenersi, ad esempio, “frazionabile” il permesso di costruire che riguarda un complesso di edifici, dei quali solo uno o solo alcuni sono stati in concreto realizzati (salve le misure da adottare, quando le opere di urbanizzazione siano state realizzate in modo diverso da quanto progettato).

Possono risultare conformi al titolo edificatorio originario i manufatti autonomi funzionalmente anche se non sono propriamente completi, qualora vi siano tutti gli elementi costitutivi ed essenziali del manufatto e manchino soltanto opere marginali che non richiedono il rilascio del permesso di costruire (art. 15, comma 3, Tue).

Nel caso di opere parzialmente edificate, autonome funzionalmente, che però presentino variazioni rispetto al titolo abilitativo, spetta al Comune stabilire, nell’esercizio del proprio potere di gestione del territorio, se esse risultino realizzate in conformità con il permesso di costruzione, ovvero se ricadano nella fattispecie ex art. 34 Tue, ovvero se possano essere sanate in base all’art. 36 Tue.

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