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Affido condiviso #adessonews


In virtù dell’istituto dell’affidamento condiviso la potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori che assumono, di comune accordo, le decisioni di maggiore interesse per la prole relative all’istruzione, educazione, scelte religiose, salute, tenendo pur sempre conto delle capacità e inclinazioni dei figli.


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Affido condiviso

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L’art. 154 del codice civile del 1865, prevedeva al co. I, che “Il tribunale che pronuncia la separazione, dichiarerà quale dei coniugi debba tenere presso di sé i figli e provvedere al loro mantenimento, alla loro educazione ed istruzione”, ed al co. II, che: “può il tribunale per gravi motivi ordinare che la prole sia collocata in un istituto di educazione o presso terza persona”, e “qualunque sia la persona a cui i figli saranno affidati, il padre e la madre conservano il diritto di vigilare la loro educazione”. Simile era la formulazione dell’art. 155 del codice del 1942.

Con l’introduzione del divorzio, Legge n. 898 del 1970, è stato dato un nuovo assetto all’istituto dell’affidamento della prole, ormai fondato sulla valorizzazione dell’interesse morale e materiale del minore.Tale principio è stato ribadito dalla successiva riforma del diritto di famiglia, L. 19 maggio 1975, n. 151.

1.2. L’affidamento mono genitoriale

L’affido esclusivo rappresenta ora l’eccezione rispetto alla “regola” dell’affido condiviso. Prima dell’introduzione della L. n. 54/2006, l’affidamento mono genitoriale era invece l’istituto privilegiato, risultando poco applicati gli altri regimi di affidamento vigenti.

L’art. 155 c.c., prima dell’introduzione dell’affido condiviso, prevedeva che: “Il giudice che pronuncia la separazione dichiara a quale dei coniugi i figli sono affidati e adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole, con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. In particolare, il giudice stabilisce la misura e il modo con cui l’altro coniuge deve contribuire al mantenimento, all’istruzione e all’educazione dei figli, nonché le modalità di esercizio dei suo diritti nei rapporti con essi”. Oggi l’art. 155 bis c.c., recita: “il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore”.

1.3. L’affidamento alternato

Si tratta di un affidamento a potestà esclusiva per un equo periodo all’uno ed all’altro coniuge alternativamente e per periodi di tempo prestabiliti. L’assenza di stabilità, e la mancata rispondenza alle esigenze della prole di vivere e crescere senza troppi spostamenti, ha sollevato notevoli perplessità sull’idoneità di tale istituto a garantire il benessere del minore.

1.4. L’affidamento congiunto

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Introdotto con l’art. 6, co. 2 della L. n. 898/1970, prevedeva espressamente che “Ove il tribunale lo ritenga utile all’interesse dei minori, anche in relazione all’età degli stessi, può essere disposto l’affidamento congiunto o alternato”. Tale istituto prevede l’esercizio della potestà genitoriale da parte di entrambi i genitori, secondo un comune orientamento nella cura della prole.

La legge n. 54/2006 ha trasformato l’affido “congiunto”, da eccezione, in regola, sotto la definizione di “affido condiviso”. Tale istituto riconosce alla prole il diritto a mantenere rapporti continuativi e stabili con entrambi i genitori.

La L. n. 54/2006, entrata in vigore dal 16 marzo 2006, ha introdotto rilevanti novità rispetto alla precedente disciplina. Si tratta della riforma più importante del diritto di famiglia dopo quella del ’75, in quanto ha introdotto il principio della bigenitorialità che costituisce un diritto naturale del figlio ad avere rapporti continuativi con entrambi i genitori. 

In particolare l’art.1, intervenendo nel Capo V, Titolo VI, del Libro I del codice civile, ha modificato tutta la materia relativa ai rapporti tra i figli ed i genitori nelle cause di separazione e divorzio.

La disciplina relativa all’affidamento condiviso prevede il diritto del figlio, anche in caso di separazione personale dei genitori, di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti ed i parenti di ciascun ramo genitoriale. E ciò si collega all’art. 30 della Costituzione, che, al co. I, statuisce che: “E’ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio”.

Attualmente, la materia è regolamentata dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219, e dal successivo decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, pubblicato l’8.01.2014 sulla Gazzetta Ufficiale ed entrato in vigore il 7.02.2014, che ha stabilito la “modifica della normativa vigente al fine di eliminare ogni residua discriminazione rimasta nel nostro ordinamento tra i figli nati nel e fuori del matrimonio, così garantendo la completa eguaglianza giuridica degli stessi”. Tale norma ha tra l’altro, introdotto l’importante equiparazione dei figli naturali a quelli legittimi, statuendo che sia un organo giudiziario unico competente a valutare tutti i procedimenti di affidamento dei figli minori sia quelli relativi alle coppie sposate che a quelle di fatto.

Inoltre, tra le modifiche apportate, rileva in particolare quella relativa all’articolo 337-ter del codice civile, secondo cui il figlio «ha diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori» e che il giudice deve valutare «prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori».

Il decreto legislativo del 28.12.2013 n. 154, ha introdotto anche una nuova formulazione dell’art. 337 quater c.c., che ha sostituito l’art. 155 bis c.c. , prevedendo la possibilità di un accordo tra i genitori sulle questioni di maggiore rilievo per la prole.

In particolare, l’art. 337 quater c.c, stabilisce che: “il genitore cui sono affidati i figli in via esclusiva, salva diversa disposizione del giudice, ha l’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale su di essi, egli deve attenersi alle condizioni determinate dal giudice. Salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori. Il genitore cui i figli non sono affidati ha il diritto ed il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che non siano state assunte decisioni pregiudizievoli per il loro interesse”.

Pertanto, il genitore non affidatario potrà concordare con l’altro solo le decisioni di maggiore interesse, riguardanti i figli, ed avrà ha il diritto-dovere di vigilare sulla loro crescita, potendo anche ricorre all’autorità giudiziaria qualora il genitore affidatario avesse preso decisioni pregiudizievoli per l’interesse della prole. 
Tuttavia, l’esercizio condiviso della responsabilità genitoriale relativamente alle scelte più rilevanti per la prole potrà incontrare un limite, indicato nel terzo comma di tale articolo: “salvo che non sia diversamente stabilito”.

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E’ derogabile la pronuncia dell’affido condiviso, qualora la sua applicazione risulti pregiudizievole per l’interesse della prole.

E’ il caso analizzato dalla Suprema Corte nella sentenza del 19 maggio 2010, n. 12308, in cui è stato escluso l’affido condiviso poiché i figli minori vivevano una condizione di disagio psichico dovuto all’elevata conflittualità dei genitori.

Parimenti, la Corte di Cassazione con la sentenza dell’11 agosto 2011, n. 17191 ha disposto che il giudicante potrà non disporre l’affido condiviso qualora sussistano situazioni di grave litigiosità che rendano difficile la collaborazione fra gli ex coniugi ed il dialogo pacifico.

Inoltre, con la sentenza n. 875/2012 la prima sezione civile della Cassazione afferma che, “come dice il termine stesso”, l’affidamento condiviso richiede una perfetta intesa tra gli ex coniugi. Qualora non vi sia dialogo tra i due, non verrà stabilito il mantenimento diretto dei figli, ma un genitore dovrà passare del denaro all’altro affinché questi provveda ai bisogni economici della prole. 

In tema di decisioni condivise, relative in particolare all’educazione religiosa dei figli, occorre menzionare la sentenza n. 24683/13, con cui la Cassazione si è pronunciata in merito alla vicenda di una coppia di coniugi, di cui uno, dopo la separazione, aveva scelto di seguire un nuovo credo religioso. La Suprema Corte ha stabilito che, nonostante le figlie di tale coppia fossero state affidate in modo condiviso ad entrambi i genitori, dovessero trascorrere con la madre i giorni festivi del Natale e della Pasqua, al fine di evitare l’indottrinamento da parte del padre.

Inoltre, secondo i giudici non è opportuno sconvolgere l’impostazione religiosa data alla prole fino a quel momento, in quanto ciò finirebbe per disorientare i figli che ancora non hanno la maturità necessaria per prendere decisioni autonome e consapevoli in materia di credo religioso.

Rilevante, è anche la sentenza n. 16658 del 22/07/2014 della Corte di Cassazione civile, che ha chiarito il diritto dei figli di essere ascoltati dal giudice. Nello specifico, la Suprema Corte ha richiamato le disposizioni normative in materia di audizione del minore, ovvero  l’art. 315-bis c.c. che prevede il diritto del minore ad essere ascoltato dal giudice, ovvero che: “il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”, nonchè l’art. 155-sexies c.c, che .al co. 1, così sancisce: “Prima dell’emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all’articolo 155 c.c., il giudice può assumere, ad istanza di parte o d’ufficio, mezzi di prova. Il giudice dispone, inoltre, l’audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento”.

Dunque, la Cassazione ha condiviso un indirizzo giurisprudenziale consolidato (Cass. Civ. Sez. I, 05/03/2014, n. 5098), secondo cui “il minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore, ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano, salvo che l’ascolto possa essere in contrasto con il suo superiore interesse. È, quindi, errato ritenere che l’audizione del minore possa costituire una restrizione della sua libertà personale o una lesione dei suoi diritti fondamentali, costituendo, al contrario, una espansione del diritto del minore alla partecipazione al procedimento che lo riguarda.” Tuttavia, se pregiudizievoli per il minore, il giudice può disattendere le volontà da quest’ultimo espresse.Pertanto, nella sentenza in oggetto, la Suprema Corte ha concluso statuendo che la “valutazione del giudice sulle modalità dell’affidamento può non coincidere con le opinioni manifestate dal minore, ma il giudice ha un onere di motivazione direttamente proporzionale al grado di discernimento del minore e ciò è una diretta conseguenza dell’imprescindibilità dell’ascolto del medesimo.” 

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Degna di nota è anche la sentenza n. 9633/2015 della Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul diritto della donna collocataria della prole di portare con sé i figli minori in un’altra città. La Suprema Corte ha chiarito che, la madre presso cui siano stati collocati i figli minori dopo la separazione dal marito, può trasferirsi in un’altra città, portando con sé la prole quando ciò sia necessario per trovare lavoro altrove, anche senza il consenso dell’ex coniuge. Dunque, secondo la Cassazione, il genitore che intende trasferire la propria residenza lontano da quella dell’altro coniuge, non perde l’idoneità ad essere collocatari dei figli minori. Il giudice dovrà tener conto solo del principale interesse dei minori, anche se ciò andrà ad incidere negativamente sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non collocatario.

Orbene, se in passato era considerato prioritario non distaccare i minori dall’ambiente in cui essi sono cresciuti e dalla figura paterna, in questo caso la Cassazione ha ritenuto prevalente la capacità di adattamento della prole e la necessità di far conseguire al genitore un reddito per poter vivere. 

Tale pronuncia è stata richiamata dalla Cassazione, sez. I, nella sentenza 14/09/2016 n° 18087, in cui, in tema di affidamento di minori, la Suprema Corte ha condiviso l’applicazione del criterio presuntivo della maternal preference.

L’affido condiviso può essere comunque mantenuto, sebbene via sia un rapporto conflittuale tra i coniugi, nell’assumere scelte sulla salute della prole. In tal caso, qualora sia necessario prendere  decisioni di maggior interesse relative alla salute del figlio malato, il giudice, pur affidando il figlio ad entrambi i genitori, può delegare la decisione a un terzo con specifici compiti di valutazione delle cure necessarie per il minore. Così ha disposto il Tribunale di Reggio Emilia nella sentenza  del 11/06/2015, che ha conferito ad un terzo soggetto, il potere/dovere connesso all’esercizio della responsabilità genitoriale. Dunque, il Tribunale, ribadendo il contenuto dell’ art. 337 ter c.c. , secondo cui:“le decisioni di maggiore interesse per i figli, relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice”, ha stabilito di mantenere l’affidamento dei minori ad entrambi i genitori, con l’unica eccezione inerente allo stato di salute del minore, delegando il potere decisionale in merito alle scelte mediche da assumere nell’interesse del figlio malato, ad un soggetto terzo con determinati compiti di valutazione.

Sempre in materia di affidamento dei figli minori, occorre infine citare la sentenza n. 3331 del 19.02.2016, con cui la Cassazione, ha previsto il collocamento predominante del figlio presso il genitore che è in grado di garantire meglio la bigenitorialità, ovvero il rispetto della dell’altro genitore ed il mantenimento dei rapporti con quest’ultimo. Secondo la Suprema Corte va considerato come elemento determinante per la scelta della collocazione prevalente del minore, la maggiore capacità del genitore di garantire continuità di rapporto con entrambi i genitori. 

Se con l’entrata in vigore della legge sull’affido condiviso, oggi esso rappresenta la regola, prima del 2006, era l’affido esclusivo l’istituto maggiormente applicato. Detto tipo di affido monogenitoriale è ormai raramente applicato, se non in presenza di determinate condizioni, come elevata conflittualità tra i genitori; discontinuità nell’esercizio del diritto di visita; precario stato di salute psico-fisica di uno dei genitori; distanza geografica dei genitori; disinteresse genitoriale. In tale contesto, va menzionata la sentenza n. 11735/2017, con cui il Tribunale di Roma, ha stabilito che i figli siano affidati in modo esclusivo alla madre se il padre, dopo la separazione, si sia disinteressato sia economicamente, sia emotivamente degli stessi.  Dunque, il Giudice capitolino, in accoglimento della richiesta formulata da una donna, ha disposto che, spetta al genitore affidatario, l’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale sui figli, precisando comunque, salvo che sia diversamente stabilito, le decisioni di maggior interesse per la prole, vanno prese da entrambi i genitori.

Le valutazioni e decisioni relativamente alla scelta del regime di affidamento da adottare sono assunte con esclusivo riferimento all’ interesse morale e materiale  del minore.

Pertanto, nel caso di violazione dei doveri genitoriali, il genitore può perdere l’affido condiviso. Questo è quanto disposto dalla Cassazione nella sentenza n. 20622/2017, chiamata a pronunciarsi sul caso di un padre che lasciava spesso il figlio da solo in casa a guardare la TV. Tale condotta dimostra l’incapacità dell’uomo a fare il genitore, con grave danno per il minore. Pertanto, confermando la decisione del giudice di merito, la Suprema Corte ha stabilito l’affidamento esclusivo in capo alla madre. 

Altra pronuncia che rileva in tale ottica, è l’ordinanza n. 16738/2018, con cui la Corte di Cassazione ha stabilito l’affidamento esclusivo alla madre nel caso in cui un padre inaffidabile si disinteressi completamente della figlia. È comunque possibile, in futuro, l’adozione dell’affidamento condiviso, qualora l’uomo riuscirà a recuperare il proprio ruolo genitoriale.

Con l’applicazione dell’affidamento condiviso, i minori vengono affidati ad entrambi i genitori al fine di “mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi”, ma spesso ciò non avviene a causa dell’elevato grado di conflittualità degli ex coniugi. Rileva in tale contesto, la Shared Custody un istituto di diritto americano, inteso come Custodia Condivisa.  In tale ottica si inserisce la recente pronuncia del Tribunale di Parma, che, con decreto del 22 maggio 2018, ha disposto l’applicazione dell’affidamento del minore nonostante i frequenti contrasti esistenti tra i genitori. In particolare, il Tribunale ha considerato preminente l’interesse del figlio, per cui ha indicato ai genitori precise regole a cui attenersi, con la suddivisione di turni i paritetici di frequentazione secondo un piano genitoriale di base.

I principali problemi di applicazione dell’affidamento condiviso sono dovuti al fatto che si tratta di un sistema che può trovare esito positivo solo se vi è spirito collaborativo tra i genitori, ipotesi che raramente si verifica. Oggetto di conflittualità sono solitamente la scelta della residenza del minore, l’assegnazione della casa coniugale e l’assegno di mantenimento. In particolare, la scelta della residenza della prole ha conseguenze sull’ammontare dell’assegno di mantenimento: entrambi i genitori possono farne richiesta. Se gli ex coniugi non trovano un accordo, prevale il diritto del genitore collocatario. A causa di tali aspetti controversi, nonché dello spesso elevato grado di conflittualità tra ex coniugi, la norma è spesso disattesa. In effetti, sono trascorsi dodici anni dalla sua entrata in vigore, ma, statisticamente, l’affidamento condiviso è stato applicato in modo limitato, per cui non è ancora pienamente garantito il rispetto dei principi della bi-genitorialità. 

Si auspicano ulteriori interventi legislativi che possano superare le problematiche esistenti e riformulare le norme, ma, nel frattempo si segnala l’iniziativa di alcuni tribunali, che stanno promuovendo un cambiamento, stilando, ad esempio, delle linee guida innovative per modificare la prassi attualmente in vigore.

Tempi di frequentazione dei genitori con la prole

Uno degli aspetti più recentemente dibattuti in tema di affidamento condiviso riguarda la previsione dei tempi simmetrici di frequentazione dei genitori con i figli. In merito a ciò, occorre rammentare numerose pronunce orientate a garantire prioritariamente la tutela dell’interesse morale e materiale della prole.

La Cassazione civile sez. I, 17/09/2020, n. 19323 ha chiarito che, in assenza di gravi ragioni ostative, va stabilita una frequentazione dei genitori paritaria con il figlio; tuttavia, per assicurare al minore una situazione più conveniente al suo benessere ed alla sua crescita, il giudice può individuare un assetto differente.

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Medesimo orientamento è stato espresso dalla sentenza della Cassazione civile sez. I, 16/06/2021, n. 17221. Nel caso de quo, la Suprema Corte ha precisato che solo tendenzialmente l’affido condiviso comporta una ripartizione paritaria dei tempi di permanenza del figlio con i genitori, poiché il giudice, può discostarsi da tale principio regolando diversamente i tempi di permanenza, per garantire al minore una situazione più confacente al benessere di quest’ultimo. Orbene, il giudice deve tener conto sia l’interesse del minore ad instaurare una significativa relazione anche con il genitore non convivente, sia il diritto dei genitori ad una piena realizzazione della loro relazione con i figli e all’esplicazione del loro ruolo. Nella specie, la Cassazione ha rigettato la domanda di collocazione alternata, tenuto conto che i figli erano ormai adolescenti, per cui capaci a gestire il rapporto con i genitori in modo autonomo.

Anche nella sentenza 14 febbraio 2022, n. 4790, la Cassazione civile, sezione I, non ha ritenuto lesivo del diritto alla bigenitorialità il provvedimento della Corte territoriale che, in sede di reclamo, aveva confermato l’affidamento condiviso dei minori prevedendo, al posto della precedente collocazione a settimane alterne presso i due genitori, la collocazione prevalente presso la madre e la previsione dei tempi di permanenza delle minori presso il padre.

Sempre in materia di frequentazione paritaria dei genitori con la prole, assume rilievo la recente ordinanza della Cassazione civile, sez. I, 11 luglio 2024, n. 19069, che la rigettato il ricorso di un padre separato contro la decisione di un tribunale d’appello di impedire il pernottamento del figlio a casa sua fino al compimento del terzo anno di età. Il giudice di prime cure aveva stabilito che era nell’interesse del minore dormire a casa della madre fino ai tre anni, anche in quanto il bambino era ancora allattato dalla genitrice. Il padre aveva impugnato tale decisione, ritenendola discriminatoria nonché in contrasto con la crescita serena di suo figlio e con il diritto di questo di poter godere della presenza di entrambi i genitori in uguale misura. La Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che fino ai tre anni, il minore dovrà dormire dalla madre, comunque fornendo precise indicazioni affinché compiuto il terzo anno di età, i pernottamenti presso il padre siano regolari.

Trasferimento della prole

Uno dei temi più affrontati dalla giurisprudenza di legittimità, riguarda l’ipotesi di trasferimento del genitore collocatario e della prole.

L’orientamento prevalente, almeno teoricamente, è stato quello di garantire l’interesse del minore, facendolo coincidere con le aspirazioni del genitore, tuttavia, in numerose pronunce, le ragioni del trasferimento del genitore collocatario non sono state considerate pretestuose.

Come il caso esaminato dalla sentenza 4 giugno 2010, n. 13619, in cui la Cassazione ha deciso che, ai fini della concessione del nulla-osta al trasferimento, era sufficiente che il genitore collocatario dimostrasse di avere trovato un posto di lavoro nel luogo di trasferimento.

Nella sentenza 19 maggio 2011, n. 11062 la Cassazione ha valutato come legittimo il trasferimento in quanto la madre collocataria aveva intenzione di ritornare nel paese di origine dove avrebbe ottenuto il sostegno della famiglia.

Anche nel caso esaminato nella sentenza 26 marzo 2015, n. 6132, nonostante il trasferimento fosse avvenuto senza il consenso del padre, la Cassazione non ha disposto il rientro.

Altra vicenda emblematica è quella giudicata dalla Cassazione, sentenza n. 9633/2015, in cui i Giudici di Piazza Cavour, pur riconoscendo che, a causa del trasferimento, la prole avrebbe perso le numerose amicizie instaurate presso il luogo di residenza e che la figlia più grande avrebbe subito un sensibile danno anche scolastico, è stato fatto prevalere l’interesse al trasferimento del genitore collocatario rispetto a quello delle figlie.

Sempre sul tema, la Corte di Cassazione ha successivamente evidenziato nella sentenza n. 4796/2022, che il minore ha diritto a mantenere rapporti equilibrati e continuativi con entrambi i genitori (art. 337 quater c.c.); qualora si verifichi la crisi della coppia genitoriale, il giudice del merito dovrà far conciliare tale diritto con l’interesse del genitore, collocatario e non, nella loro reciproca relazione in cui l’interesse del figlio deve essere primario.

Rappresenta un’inversione di orientamento rispetto alle sentenze sopra menzionate, quanto espresso dalla Suprema Corte nell’ordinanza n. 26697/2023, in cui è stata favorita una frequentazione paritetica dei genitori con la prole, nonché nell’ordinanza n. 12282/2024, in cui è stato accolto il reclamo proposto dal padre, avverso il provvedimento di concessone del trasferimento della prole. In controtendenza rispetto all’indirizzo in materia, nella specie la Cassazione ha ritenuto illegittimo il trasferimento dei minori, in quanto ciò avrebbe inevitabilmente ostacolato la frequentazione del genitore con i figli, considerando che detto trasferimento rappresentasse una violazione del diritto alla bigenitorialità.

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