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Troppi ostacoli sparsi sulla corsa del bio #adessonews


Il settore cresce nonostante il nuovo sistema sanzionatorio e normativo penalizzante, che è un’esclusiva del nostro Paese. Alessandro D’Elia (Suolo e Salute): «C’è un accanimento eccessivo verso un settore che continua a essere sinonimo di qualità e di fiducia del consumatore»

Biologico vuol dire fiducia. Un credito conquistato sia presso i produttori sia verso i consumatori, grazie a un sistema di certificazione che anche oggi, a oltre trent’anni dall’applicazione del primo regolamento europeo, non ha eguali nell’intero sistema delle produzioni agroalimentari di qualità. Gli organismi privati di certificazione non rappresentano, però, solo una garanzia di controllo, ma anche un osservatorio privilegiato sull’evoluzione del settore. Questo vale soprattutto per quello che è il primo ente in Italia, ovvero Suolo e Salute, che certifica il 25% degli operatori bio del Belpaese e il 30% delle superfici.

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Ismea ha appena presentato i dati relativi al 2023: le superfici aumentano del 4,5%, gli operatori dell’1,8%, i consumi nella Gdo del 5,4%. Eppure, per i detrattori è poco per un settore sostenuto da piani nazionali e comunitari.

Per commentare l’attuale situazione, Terra e Vita ha interpellato Alessandro D’Elia (nella foto), direttore generale di Suolo e Salute e vice-presidente di Assocertbio.

Dott. D’Elia, oggi il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto?

Gli ultimi dati di settore relativi al 2023, presentati da Ismea a Bracciano lo scorso 17 luglio, indicano un’ulteriore crescita del biologico italiano, anche se a un ritmo più contenuto rispetto agli anni scorsi. Un risultato comunque positivo e inaspettato, se si tiene in considerazione l’impatto della crisi climatica e di mercato, con una congiuntura geopolitica che non risparmia certo il bio ma che si fa sentire in maniera ancora più preoccupante per l’agroalimentare non biologico. I consumi hanno fatto registrare un incremento più a valore che a volume sotto la spinta inflazionistica e per l’instabilità del mercato. In questo quadro crescono gli operatori biologici (+1,8% rispetto al 2022) e cresce la sau a biologico di oltre 100 mila ettari. Siamo quasi al 20% della superficie agricola totale. Un dato che vede l’Italia tra i paesi più bio d’Europa. Di fatto siamo sempre più vicini all’obiettivo del 25% fissato nel Piano strategico nazionale entro il 2027.

Il comparto delle produzioni green è però sempre più affollato; il bio riesce a conservare il suo valore aggiunto?

Il biologico rimane un asset strategico per la nostra agricoltura di qualità e senz’altro un valore per gli agricoltori e per i consumatori. Al bio viene riconosciuto il suo bassissimo impatto ambientale, la capacità di impiegare l’energia e le risorse naturali in modo responsabile, conservando la biodiversità, l’equilibrio ecologico, la salute del suolo, la qualità delle acque, la stabilità del clima. Il bio, inoltre, favorisce il benessere degli animali allevati, la salute dei consumatori e – perché no – il reddito degli agricoltori anche se negli ultimi anni questo è messo a dura prova: su questo punto occorrerebbe fare delle riflessioni. Gli agricoltori sarebbero più propensi a continuare ad investire nel bio se venisse tutelato il giusto prezzo dei prodotti ottenuti e una redditività adeguata. E lo stesso vale anche per i consumatori. Anche loro sarebbero predisposti ad aumentare gli acquisti del biologico ma solo a fronte di prezzi giusti allo scaffale.

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Come si tutela il giusto prezzo?

Innanzitutto, mettendo il settore al riparo dalla concorrenza sleale del “greenwashing”. È finito il tempo delle speculazioni vestite di “green”, anche perché l’abuso della parola “sostenibilità” ne indebolisce il significato. Il termine “biologico” continua invece ad avere, grazie alla sua tutela normativa, un significato che travalica i confini nazionali e che consente ai produttori bio di essere riconosciuti e di esportare in tutto il mondo. Inoltre, bisogna evitare una volta per tutte i costi aggiuntivi che gravano sul prezzo finale generati dalle tante zavorre burocratiche che attanagliano le imprese ma anche gli organismi di certificazione.

Quali altre leve sono da muovere per rilanciare i consumi?

Prima di tutto dobbiamo informare di più il consumatore. Dobbiamo promuovere i valori e gli obiettivi alle giovani generazioni: il biologico è nato parlando di futuro e da questo dobbiamo ripartire. Posso testimoniare che, da quando il biologico ha iniziato ad affermarsi sul mercato, uscendo dalla cosiddetta “nicchia”, non ha più saputo parlare al consumatore e non ha continuato l’opera iniziata dal movimento originario del biologico. La carica innovativa del biologico deriva dall’“eresia” di anticipatori come il professor Francesco Garofalo, principale ispiratore più di 50 anni fa della nascita dell’Associazione Suolo e Salute, la realtà da cui si è poi sviluppata l’esperienza del nostro ente di certificazione. La sua ‘giusta visione’ di un’agricoltura in grado di produrre alimenti sani nel rispetto e salvaguardia dell’agroecosistema, mantenendo la fertilità del terreno e preservando le falde acquifere, ha incontrato nel tempo il favore dei movimenti ambientalisti, ha fatto da innesco al riconoscimento normativo dell’agricoltura biologica e oggi risponde in pieno alle giuste preoccupazioni per il futuro climatico del nostro pianeta. Per dimostrare definitivamente la sostenibilità del biologico basterebbe rendere espliciti, magari sui banchi di vendita, i costi nascosti degli alimenti non bio, in termini di consumo di risorse non rinnovabili, di emissione di gas serra, di ingiustizia economica e sociale, ecc. La produzione di cibo è chiamata ‘settore primario’ perché sta alla base dello sviluppo della nostra intera economia.

Chi non vuole bene al biologico ne mette in discussione la sostenibilità economica per una presunta minore produzione per ettaro. Lei cosa pensa?

La crisi inflattiva innescata dalla crisi geopolitica sta alimentando questa idea e gli attacchi fuorvianti al “green deal” nell’Ue ne sono la prova. I detrattori del bio, non avendo altre argomentazioni, si legano a un modo vecchio e superato di vedere le cose nuove: un’ipocrisia che non può fare breccia su consumatori motivati e soprattutto correttamente informati. La remunerazione delle esternalità positive, l’insieme dei servizi ecosistemici e sociali offerti dal bio, non può essere disgiunta dalla valorizzazione dei prodotti. Ciò va contro ogni regola di libero mercato e rischia di produrre degli squilibri, anche concettuali. Teniamo presente che più un prodotto alimentare è a buon mercato, maggiori sono i costi “esterni”, ovvero quelli ambientali e sociali. Costi che il consumatore crede di non pagare semplicemente perché sono a carico dei suoi nipoti, a carico delle generazioni future.

La certificazione del biologico è un valore? Perché?

Il sistema di controllo del bio è assicurato dalla sinergia tra Autorità Competente, Autorità di Vigilanza e Organismi di Controllo (Organismi di Certificazione, soggetti privati incaricati di pubblico servizio). Gli Organismi di certificazione hanno l’obbligo di essere accreditati presso l’ente unico di accreditamento Accredia per gli aspetti inerenti alla terzietà, indipendenza e competenza (ai sensi della Norma ISO 17065). Essi svolgono attività di ispezione e certificazione, su autorizzazione dell’Autorità competente nazionale, e sono sotto la vigilanza del Dipartimento Icqrf  (Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari del Masaf), delle Regioni e delle Province autonome. Alcuni Organismi di certificazione, come ad esempio Suolo e Salute, sono anche accreditati da Autorità internazionali, come ad esempio dall’Usda americano e dal Famic giapponese, ed operano in conformità di normative non solo comunitarie. La certificazione del biologico è senz’altro un valore perché garantisce efficacia, efficienza e trasparenza per il consumatore e ha costi non gravosi per le aziende. Il biologico, infatti, è il settore dell’agroalimentare regolamentato con meno prodotti e operatori irregolari; molto meno di Dop, Igp ed Stg del food e del vino di qualità. Ciò è facilmente desumibile dai rapporti di attività dell’Icqrf pubblicati annualmente sul sito del ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste. Riguardo ai costi da una recente indagine di Assocertbio, l’associazione nazionale degli enti di certificazione del biologico è stata stimata un’incidenza del costo della certificazione pari a circa lo 0,5-0,8%.

Quali sono le esigenze che emergono e le norme che dovrebbero essere modificate?

Il biologico deve essere messo nella condizione di lavorare con serenità. Quando vengono emanate le norme nazionali bisogna sempre tenere conto di come gli altri Stati membri gestiscono le medesime problematiche e ciò per non creare sperequazioni tra i nostri agricoltori biologici e quelli di altri Paesi Ue. Senza soffrire della sindrome di Calimero, ho ragione di pensare che c’è un accanimento eccessivo e inspiegabile verso il bio che, come detto, è quello che offre le maggiori garanzie al consumatore. Altrimenti non si spiega la gravosità delle sanzioni, anche pecuniarie, a carico degli organismi di controllo e certificazione e degli operatori. Tali sanzioni non trovano spazio negli altri Stati membri, sono una prerogativa tutta italiana. Altri problemi li creerà l’applicazione del nuovo Decreto sulle “non conformità” uscito da poco. Insomma, se le nostre leggi sono più restrittive degli altri Paesi della EU, si rischia di mantenere i produttori italiani un passo indietro agli altri, di far perdere loro opportunità e competitività. Se non verranno apportati dei correttivi, la norma nazionale risulterà limitante per lo sviluppo del settore. Nell’attuale situazione di mercato non si possono mettere ostacoli eccessivi e soprattutto ingiustificati; inasprire il quadro sanzionatorio non fa che allontanare soprattutto i piccoli agricoltori dalla produzione bio. E invece è proprio sul biologico che il nostro Paese dovrebbe puntare, perché non possiamo competere sui grandi numeri che riescono a fare altri Paesi europei. Spero che si prenda atto di questo.

È infine auspicabile anche che il settore faccia un passo avanti nei rapporti tra i vari attori del sistema. C’è ancora troppa conflittualità quando invece la difesa del biologico dovrebbe essere un obiettivo comune.

 

Il primato di Suolo e Salute

Suolo e Salute trae la sua origine dall’Associazione Suolo e Salute, fondata nel 1969, pioniera nello sviluppo e nella promozione del metodo organico-minerale, da dove è nata l’agricoltura biologica. Oggi è tra i principali organismi di controllo e certificazione per le produzioni biologiche in Europa ed è il primo in Italia: certifica oltre 23.500 operatori (aziende agricole, zootecniche e di trasformazione), circa il 25% del totale nazionale e controlla quasi 750.000 ettari di superficie agricola, corrispondente al 30% della superficie agricola italiana investita a biologico.

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